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• 23 Gennaio 2023 – Libano Zanolari

In questi tempi di magliari dell’immagine e di ‘tromboni della pubblicità’ (copyright Brassens e Svampa) si può rimanere se stessi, anti-star al punto da rifiutare le interviste in inglese e di rifugiarsi a Oberperfuss in Austria? Si può, e lo ha dimostrato l’olimpionico e campione del mondo Beat Feuz, ma non è facile, anche senza essere necessariamente indecenti come i calciatori che si autocelebrano con i tatuaggi e le acconciature più strane e dimostrano il loro statuto di intoccabili con la trasgressione sempre più costante dello sputo. 

Certo, gli sciatori sono bardati da capo a piedi, non hanno pelle e capelli da mettere in mostra, ma in modo sempre piú ostentato attribuiscono il loro successo a chi fornisce il materiale, e concede un ‘bonus’ a ogni presenza televisiva; vedasi Kilde che non manca mai di accennare ai suoi sci, ammiccando come un vero magliaro. Per non dire delle ragazze costrette ad alzare in modo poco elegante la gamba per mettere in mostra la loro merce all’arrivo.

E dire che sino al 2007, ai telecronisti non era permesso citare la marca dello sci; anche se qualcuno non lo ha mai fatto, per principio, pure in seguito. Va ricordato,en passant, il caso dell’olimpionico di atletica sui 5-e 10’000 metri, il finlandese Lasse Viren, che ebbe grossi guai per essersi tolto e aver sventolato gli scarpini nel 1972 a Monaco di Baviera nel trionfale giro di pista; evitò la squalifica dicendo che aveva troppe vesciche ai piedi…

È straordinario come il pacioso Beat, abbia attraversato 15 anni di carriera ad alto livello con la massima discrezione,  senza concedere nulla alle lusinghe dei pataccari dell’immagine, di chi ti vuole vendere attraverso qualche gesto sopra le righe per monetizzare in qualche modo i tuoi successi: a partire dal trofeo ‘Topolino’, una specie di mondiale per ragazzi, vinto a 15 anni, per continuare con il bronzo ai mondiali juniores nello slalom (!) a 18 anni, e altre tre medaglie a 20 anni, oro in discesa, supergigante e combinata, ancora bronzo nello slalom. Un predestinato, celebrato come il nuovo fenomeno dello sci.

E il diretto interessato? Neanche una piega, non il minimo scostamento dai coetanei di Schangnau nell’Emmenthal; la ‘Runde’, la tavolata serale per una birra con i compagni, prima o dopo la zuppa, e poco altro. Il cantiere per l’apprendistato e lo sci. Poi solo lo sci e a 25 anni il momento terribile in cui i medici, in seguito a una serie di operazioni al ginocchio non riuscite, gli comunicano che non si sentono di escludere l’amputazione della gamba. Beat la evita, supera un momento di sconforto e dopo due anni rientra, anche grazie alla tenacia, all’abilità della fisioterapeuta austriaca Katrin Triendl, diventata sua compagna, madre di due figlie di 4 e 2 anni.

In questo sport gli infortuni, anche gravi, sono accettati come una specie di decima da pagare al il dio norvegesi delle nevi Thor, inventore degli sci (di legno, allacciati al piede con corde), invidioso di chi lo voleva emulare.

E dire che il primo amore di Feuz fu il volo dal trampolino: il 10 febbraio 1985, a un giorno dal suo ottavo compleanno, debutta ad Adelboden, atterra male e si rompe entrambe le caviglie. Sarà costretto per 3 mesi sulla carrozzina, per passare poi a uno sport che si rivelerà solo in apparenza meno pericoloso. Sempre in ansia per il suo ginocchio malmesso, Feuz raggiungerà il vertice della discesa e del supergigante solo attorno ai 30 anni, dopo un bronzo a Beaver Creek a 28,  e un oro a S. Moritz a 29, seguiti più tardi da un altro bronzo a Cortina, a 34 anni, sempre ai Mondiali.

A 31 anni Beat va anche sul podio olimpico, a Pyeongchang, in Corea: sorprendente secondo nel supergigante, terzo in discesa. L’anno scorso a Pechino, chiude in gloria con l’oro olimpico in discesa.

Negli ultimi anni aveva vinto  a Garmisch-Partenchirchen, due volte a Wengen, due a Beaver Creek, 3 a Kitzbühel, dove sabato ha chiuso con un 16esimo posto, ma con un’ultima dimostrazione del suo grande talento, in una gara in cui il numero di partenza e lo sci avevano troppa importanza. Nel primo tratto molto tecnico, con le curve in fortissima pendenza e contropendenza Feuz aveva il miglior tempo, tanto per sorprenderci sino all’ultimo, lui che aveva fatto il gigante solo nella stagione 2011-12 per cercare qualche punticino nella memorabile sfida per la Coppa del Mondo, persa contro il grande Hirscher per soli 25 punti. Ha vinto 13 discese e 3 supergiganti, è salito 59 volte sul podio, combiante comprese. 

Da un punto di vista tecnico, Feuz passerà alla Storia dello sci per il suo straordinario senso della linea, ora sempre meno importante, perché i tracciati sono obbligati, le curve sempre più numerose e strette. Ma laddove lo spazio lo permetteva, Feuz faceva finta di seguire le indicazioni degli allenatori e poi lasciava sfogare il suo istinto che, paradossalmente, lo portava a livello dei

migliori ingegneri informatici, quelli che ti calcolano al computer l’attacco e la chiusura ideale della curva, il raggio vincente.

E noi siamo felici di concludere così, dicendo che il contadino e muratore Beat da Schangnau, guardava la pista, la memorizzava, e sceglieva la strada giusta, la linea ideale, senza avere nessuna traccia sul tablet. Quella misteriosa linea tutta sua che l’ha guidato anche nella vita, oltre le mode e l’aria del tempo, contro, anzi.

Eppure, nessuno nel mondo dello sci maschile ha goduto della stima di cui ha goduto Feuz, in tutti i Paesi, presso i colleghi di tutte le età, campioni affermati e debuttanti.  Nemmeno i grandi del passato, Zurbriggen e Killy a parte.






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