Putin all’angolo, la lezione del topo e l’orologio dell’Apocalisse
Con l’annessione una parte del Donbass diventerebbe parte integrante del territorio russo: e secondo la dottrina militare del Cremlino, attaccarlo autorizzerebbe il ricorso alle alle armi nucleari
In un libro autobiografico, Putin racconta che, da ragazzino, a San Pietroburgo (allora Leningrado), nel piccolo e modesto appartamento che era stato assegnato alla sua famiglia, si divertiva dando la caccia ai topi. Finché un giorno, un ratto che aveva messo all’angolo reagì e lo morse a una mano. “Per me fu una lezione di vita”, commentò. Messo in difficoltà sul teatro della guerra in Ucraina, il “Gosudar” (il leader supremo) ha deciso di reagire. Puntando apertamente su una minacciosa escalation. Con l’annuncio del referendum in quattro Oblast del Donbass (dove l’esercito russo di ‘liberazione’ non è stato certo accolto nel tripudio generale da chi si è visto violentemente distruggere vite e case), l’autocrate ha deciso di accrescere, e di molto, il livello della sfida, sicuro che dai ‘votanti’ di quel quindici per cento russofono di territorio ucraino arriverà un verdetto massiccio e scontato in favore dell’annessione alla ‘Madre Russia’.
In questo caso Putin fa di più, e se possibile di peggio, rispetto ad altri “referendum” che negli anni del suo potere hanno consacrato con un plebiscito la conquista militare già avvenuta: come accade nella parte separatista della Georgia (l’Ossezia del Sud, ‘protetta’ dalle truppe di Mosca, che annuncia di desiderare anch’essa l’annessione) e soprattutto come già avvenuto otto anni fa con la Crimea, territorio ucraino. Questa volta, il Cremlino nemmeno attende di aver conquistato l’intero territorio conteso, decide una consultazione in piena guerra, la organizza mentre l’esercito di Kiev sta velocemente avanzando sul fronte orientale, penetrando le regioni che la Russia (dopo aver ridimensionato, forse solo provvisoriamente, i propri obiettivi iniziali) considera traguardo minimo e irrinunciabile della sua guerra. Con centinaia di migliaia di abitanti, se non milioni, che hanno già abbandonato quelle terre nei sette mesi di feroce conflitto, sarà a maggior ragione una consultazione farsa. Ottenuta sulla ‘punta delle baionette’ (esattamente come la pretesa occidentale di esportare con la forza la democrazia in Medio Oriente).
Un atto di forza che è anche e soprattutto l’ultimo segnale di quella debolezza anche politica di Putin, palesatasi con nettezza nelle ultime settimane. In Russia e fuori Russia. All’interno vi sono state le proteste sia di chi chiede ancora più violenza per piegare la resistenza ucraina, sia di chi comincia ad esprimersi con coraggio contro la politica imperial-guerriera del “Gosudar” (è per esempio il caso di alcuni parlamentari regionali di Mosca e San Pietroburgo, che hanno chiesto pubblicamente le dimissioni del neo-zar). Ma ancor più sul fronte esterno. È stato il summit di Samarcanda a sottolineare le difficoltà e il semi-isolamento del putinismo imperiale: il cinese Xi Jinping, quello dell’ “alleanza senza limiti” con il presidente russo, è stato tutt’altro che caloroso nei confronti dell’interlocutore (Pechino condanna ma non vìola l’embargo economico occidentale, e ancora non fornisce armi moderne all’alleato impantanato nel Donbass); mentre l’indiano Modi ha dato molta pubblicità al monito lanciato a Putin, ‘questo non è tempo di guerra’. Così, partito verso l’Asia sicuro di essere ritemprato e rassicurato dagli amici, Putin è stato invece messo politicamente alle strette.
E allora ecco la “lezione del topo”. Reagire per sopravvivere. Reagire alzando l’asticella. Reagire ordinando la ‘mobilitazione parziale’ dei riservisti. E nel caso specifico reagire addirittura rendendo ancor più concreta la minaccia di ricorrere all’arma suprema, quella nucleare. Infatti, se la parte del Donbass ‘referendario’ finirà nella Federazione, e diventerà terra russa a tutti gli effetti (anche a dispetto della condanna e del non riconoscimento internazionale), godrà ulteriormente dello scudo del Cremlino: in caso di nuovi attacchi, come ha ricordato il vice presidente del Consiglio di sicurezza Medvedev (il ‘mazziere’ del gran capo), si tratterebbe di attacchi “diretti al patrio suolo”; il che, nella dottrina militare russa, legittima anche la ritorsione atomica. Per cominciare, lancio di ordigni nucleari tattici, all’interno del solo territorio ucraino, ma comunque devastanti. Sarebbe il primo step. E poi, chissà.
Come reagirebbe l’Occidente? Dopo i missili ad alta potenza e precisione consegnati a Kiev, inviare armi nucleari tattiche, di cui gli stessi ucraini sarebbero le prime vittime? Già negli scorsi giorni, evidentemente informato sulle intenzioni del neo-zar dalla propria intelligence, l’americano Biden aveva ammonito Mosca: “non ci provate”, ha ripetuto con insistenza per ben tre volte consecutive. Comunque un rompicapo per Stati Uniti ed Europa. Mentre si risente l’inconfondibile ticchettio dell’orologio dell’Apocalisse.
Nell’immagine: il dott. Stranamore (Peter Sellers) nell’omonimo fim di Stanley Kubrick (1964), nella speranza che il finale non sia stato profetico