Putin e i suoi filosofi
Uno, quasi svizzero, di Zollikon
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Uno, quasi svizzero, di Zollikon
• – Silvano Toppi
Per andare oltre le sommarie contrapposizioni
• – Redazione
In un bagno di informazioni, opinioni, esternazioni di ogni tipo, ci si dibatte nel cercare di capire cosa succede in Ucraina ma anche a casa nostra
• – Enrico Lombardi
La sua domanda è diventata la mia domanda
• – Riccardo Bagnato
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• – Franco Cavani
Secondo il filosofo Étienne Balibar, per evitare una “ricostituzione dei blocchi” va aiutata la resistenza del popolo ucraino (anche consegnando armi) e quella del popolo russo dissidente
• – Redazione
Il contributo di un artista che da anni dipinge il mondo come oggi ci pare evidente che sia
• – Redazione
Russia e Ucraina sono grandi esportatori di acciaio: e in Ticino, importante piazza delle materie prime, hanno una delle loro piattaforme preferite; le sanzioni e la crisi del settore
• – Federico Franchini
L’Europa non invii armi agli ucraini, per evitare lutti e sofferenze maggiori alla popolazione, e per sottrarsi alle politiche imperiali di Russia e Nato
• – Redazione
Difesa nazionale, la Svizzera da sola non potrebbe resistere per più di due settimane a un attacco militare da est: e non lo dice uno qualsiasi
• – Fabio Dozio
Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia
— Sun Tzu, L’arte della guerra
Putin lo si vuole folle, ma non è stupido, ed è forse peggio.
Lo scrive, sostiene e documenta un filosofo, Michel Eltchaninoff, che è anche direttore di una rivista filosofica, in un suo libro, 176 pagine utilissime a capire, già uscito nel 2015, ora riattualizzato. Libro che, in francese, porta il titolo “Dans la tête de Vladimir Poutine”.
Già l’attacco di Eltchaninoff è significativo: ”Russia. Inizio gennaio 2014. Gli alti funzionari, i governatori delle regioni, i quadri del partito Russia unita, ricevono un singolare regalo per il Nuovo Anno da parte dell’amministrazione presidenziale: tre opere di filosofia! Le nostre missioni d’Ivan Ilyin, La Filosofia dell’ineguaglianza, di Nicolas Berdiaev, La Giustificazione del bene, di Vladimir Soloviev, tutte opere di pensatori russi del XIX e del XX secolo.” Più avanti si precisa: “Il presidente (Putin) ha recentemente citato più volte questi autori in discorsi decisivi e bisognerebbe comprendere ciò che ha inteso dire. I più perseveranti troveranno in quei libri formule che risuonano singolarme nte e hanno sentito come una concordanza con i tempi: il “ruolo guida della nazione” in una democrazia autentica, l’importanza di essere conservatori, la preoccupazione di ancorare la morale nella religione, la missione storica del popolo russo di fronte all’ostilità millenaria dell’Occidente…”
Putin, brillante studente di diritto alla prestigiosa facoltà di San Pietroburgo deve sempre aver amato la filosofia. (E oggi si finisce per interrogarsi se sia stato un bene o un male). È comunque nota ed anche dimostrata la sua conoscenza dei classici del pensiero politico europeo: il teorico dello stato Thomas Hobbes, il pensatore empirista e liberale John Locke e poi anche l’illuminista Kant. È interessante (e ha un che di fantasmagorico) rilevare oggigiorno, come fa e cita Eltchaninoff, che già negli anni ’90 come aggiunto sindaco di una cittadina, poi come presidente della Russia nel 2000, Putin utilizza la carta del liberalismo politico per darsi una struttura ideologica. Cita il filosofo Kant in varie occasioni, spiegando ad esempio che “Kant difendeva concetti che sono alla base del mondo contemporaneo, come la libertà, l’eguaglianza di tutti davanti alla legge… Kant era categoricamente opposto alla soluzione di disaccordi intergovernativi con la guerra… Penso che la previsione di Kant debba essere realizzata dalla nostra generazione”. Non è durata molto la passione per Kant. È subito prevalsa l’avversione all’occidentalismo, nemico da sempre della Russia. Già nel giugno 2019 Putin afferma che “l’idea liberale” è ormai “obsoleta”. Oppure che i liberali “non possono più dettare qualunque cosa a chicchessia, come fanno gli occidentali dopo la caduta del comunismo”. Anche il suo avvicinamento alla Chiesa ortodossa è pressoché conseguente: i valori cristiani servono a rinsaldare, a creare unità, e devono essere il fondamento dell’etica.
Ed è qui che emerge un altro “filosofo”, definito spesso “il Nietzsche russo”, Constantin Leontief (che fu medico di guerra durante la guerra di Crimea, divenuto poi monaco ortodosso). Nel suo libro “L’europeo medio: ideale strumento della distruzione universale”, scrive: “I Russi devono temere, devono esserne terrificati, affinché la storia non ci seduca e non ci conduca dentro questa via anticulturale e ignobile”. Che è quella occidentale. Putin si appropria di un’altra ida di Leontiev quando afferma (nel 2013): “La Russia, come lo diceva in modo così efficace il filosofo Constantin Leontiev, si è sempre sviluppata come una “complessità fiorente”, come uno Stato-civiltà fondato sul popolo russo, la lingua russa, la cultura russa, la Chiesa ortodossa”. Che, sottinteso, si armonizzano e si congiungono nella figura di “una guida nazionale” che garantisca unità di destino. E ancora, poco dopo, durante una riunione pubblica (2013) quando attacca l’Occidente che giudica profondamente decadente: ”Numerosi paesi euro-atlantici… rifiutano i principi etici e l’identità tradizionale: nazionale, culturale, religiosa e anche sessuale. Si accetta una politica che mette sullo stesso piano una famiglia con numerosi figli e un partenariato dello stesso sesso, la fede in Dio e la fede in Satana… Le genti, in numerosi stati europei, hanno vergogna e temono di parlare della loro appartenenza religiosa”, ciò che fatalmente porta “a una crisi demografica e morale”.
C’è però un filosofo che Vladimir Putin, soprattutto a partire dal 2005, predilige e cita regolarmente: è Ivan Ilyin (nato a Mosca nel 1883, morto in Svizzera, a Zollikon, nel 1954). Emigrato in Germania e poi in Svizzera dopo la Rivoluzione bolscevica, filosofo minore nella tradizione filosofica russa, pensatore politico assai vicino ai “Russi bianchi” più radicali. Singolarmente scoperto da Nikita Mikhalkov (attore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico; nessuno avrà dimenticato il suo famoso Ociciornie, con Marcello Mastroianni). Questi, sedotto dalla Russia zarista, ne parlò con Putin, alla ricerca di fondamenti intellettuali per conquistare l’adesione della popolazione.
Eltchaninoff cita un discorso dell’ottobre 2021 (agli esperti della Russia del club Valdai), in cui Putin ammette che Ilyin è il suo autore feticcio, che ha sempre il suo libro, Le nostre missioni, a portata di mano. Quel libro è una raccolta di articoli pubblicati nel 1954, in cui Ilyin si oppone sia al totalitarismo, sia alla democrazia “formale”, a favore di una terza via “russa”. Immagina ciò che potrebbe diventare la Russia dopo la caduta del comunismo. Essa non dovrebbe soprattutto incamminarsi verso la “democrazia formale” all’occidentale, con un’alternanza di rappresentanti. La Russia in questo modo si indebolirebbe e si offrirebbe in pasto all’Occidente il cui scopo “è smembrarla per farla passare sotto controllo occidentale, disfarla e infine farla scomparire”. Bisogna invece puntare su una “dittatura democratica”, non fondata sull’aritmetica elettorale. Chi la dirige dovrà assicurare l’unità dei Russi e impedire “i tentativi separatisti sostenuti dalle potenze straniere”. E ancora: “la guida suprema è al servizio, invece di far carriera; combatte, invece di fare la comparsa; colpisce il nemico, invece di pronunciare delle parole vuote; dirige, invece di vendersi agli stranieri”.
Per Ilyin qualsiasi discorso sull’Ucraina separata dalla Russia l’avrebbe resa un nemico mortale della Russia. Contesta che un individuo si possa scegliere la propria nazionalità, non più di quanto le cellule possano decidere se fanno parte di un corpo. Gli fa quindi chiaramente eco il discepolo Putin in un discorso (18 marzo 2014) alla Federazione russa, dopo l’annessione della Crimea: “La politica di accerchiamento della Russia, che è continuata nel XVIII, XIX, XX secolo, continua ancora oggi. Si cerca sempre di spingerci in un angolo perché abbiamo una posizione indipendente, perché la difendiamo, perché chiamiamo le cose con il loro nome e non ci comportiamo da ipocriti. Ma ci sono dei limiti. Per quanto riguarda l’Ucraina, i nostri partner occidentali hanno superato la linea gialla. Si sono comportati in maniera grossolana, irresponsabile, non professionale”.
Il programma putiniano è quindi scritto e ci si può immaginare come Putin vi si sia identificato.
Tanto da far trasferire le spoglie di Ilyin, sepolto a Zollikon, verso la Russia, nel 2005, con grande cerimonia di risepoltura nel monastero di Donskoy presso Mosca. Forse ha definitivamente spodestato Lenin. Si dice infatti che Putin lo si è visto più volte sulla tomba del filosofo. Anche i manoscritti di Ilyin, alla morte della moglie nel 1963, ebbero un singolare trasferimento: da Zurigo-Zollikon alla Michigan State University, poi al Russian Culture Fund, affiliato al Ministero della cultura russo, nel 2006.
Putin non ha mai creduto al modello comunista di una economia di Stato o di una società senza classi. Si presenta subito come il dirigente che vuole la stabilità, la prosperità all’interno e il ricupero del prestigio verso l’esterno della Russia dopo il crollo comunista. Si appoggia sempre più apertamente sul patriarcato ortodosso di Mosca per “disinselvatichire” il paese dopo l’”ateismo di stato”. Considera così con astio e desiderio di rivalsa le cosiddette “rivoluzioni colorate” (Georgia 2003, Ucraina 2004) e l’adesione dei paesi baltici alla Nato e all’Unione europea, e si convince sempre più che la Russia o il suo progetto di ritorno alla “grande Russia” si scontra con l’ostilità crescente e attiva delle potenze occidentali. Una prima svolta conservatrice o di restaurazione emerge dopo la presidenza Medvedev, dal 2008 al 2014, e il suo ritorno alla presidenza: Putin accentua le tendenze già presenti nel suo primo mandato:
Tre obiettivi sempre alimentati dalle citazioni ai filosofi che Putin riserva ai suoi discorsi più solenni. Dal 2005 ricorre sempre più frequentemente a Ivan Ilyin, il filosofo russo emigrato in Svizzera, tanto violentemente anticomunista quanto antidemocratico. Accompagnato però anche da pensatori-filosofi religiosi conosciuti sotto il nome di “sofiologi” (Soloviev, Florenski, Bulgakov) che hanno elaborato costruzioni concettuali complesse per cogliere il legame esistente tra Dio e l’universo, cioè l’unità del divino e la molteplicità della creazione dentro l’”unitotalità”. Che c’è di più utile, infatti, per risolvere una questione che ossessiona Putin, l’unità della grande nazione russa, trovando anche un amalgama… metafisico? Anche perché la questione del rapporto tra unità e diversità è da secoli una delle maggiori questioni politiche e culturali della Russia.
Il risultato è una ideologia multiforme, con un unico denominatore: la riaffermazione dell’impero russo, nonostante l’ostilità (secolare) dell’Occidente. Che può essere perseguita ricreandone l’unità, dall’Europa all’Asia, costi quel che costi, ricorrendo anche ad un essenziale fattore culturale amalgamante e conservativo, come la religione ortodossa, ma ricorrendo, sulla base di una ritenuta solida giustificazione filosofica (o ideologica-imperiale), esclusa ogni altra ragione (assolutismo), anche ai carri armati o ai Sukhoi, gli aerei da combattimento di ultima generazione, e fors’anche ai razzi nucleari.
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