Elvezia nelle braccia della NATO
Difesa nazionale, la Svizzera da sola non potrebbe resistere per più di due settimane a un attacco militare da est: e non lo dice uno qualsiasi
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Difesa nazionale, la Svizzera da sola non potrebbe resistere per più di due settimane a un attacco militare da est: e non lo dice uno qualsiasi
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Difesa nazionale, la Svizzera da sola non potrebbe resistere per più di due settimane a un attacco militare da est: e non lo dice uno qualsiasi
Alla precisa domanda: quanto può difendersi da un attacco la Svizzera da sola? “Con i nostri mezzi odierni dopo un paio di settimane è finita. Ma in questo caso la neutralità decadrebbe. Quindi dovremmo e potremmo collegarci ad altri Stati, e anche con la NATO” (Tages Anzeiger 9.3.22).
Chi ha proferito questo ‘verbo’ che dichiara in modo sincero che il nostro esercito è debole e che per difendere e proteggere la Svizzera bisognerebbe far capo ai Paesi vicini e persino alla NATO? Il signor Thomas Süssli [nell’immagine], capo dell’esercito svizzero. Miracolo, il capo dell’esercito elvetico conferma dolcemente che le sue truppe sono fragili, non in grado di proteggere la Svizzera autonomamente.
A questo punto non sarebbe più opportuno smilitarizzare il Paese? Pensare a un disarmo che ci permetterebbe di investire i miliardi di franchi sprecati nel buco grigioverde nella protezione civile, che ha dato ottimi risultati nel corso della pandemia, nella formazione, nella protezione della salute dei cittadini?
Con sorpresa di tutti, il 26 novembre 1989, il 35,6% dei votanti, più di un milione di uomini e donne svizzeri, approvò la proposta di sopprimere le forze armate elvetiche. Nei Cantoni del Giura e di Ginevra l’iniziativa fu approvata. “Il tabù fu infranto – ha dichiarato lo storico di Zugo Josef Lang –, anche se non riuscimmo a macellare la vacca sacra”.
I nostri politici guerrafondai devono prendere atto che l’esercito svizzero negli ultimi anni si è indebolito, ma non perché non ha avuto soldi sufficienti da investire. Si è indebolito perché ha perso senso e credibilità. Non solo gli antimilitaristi sono critici contro le nostre forze armate. Anche l’élite del Paese lo è di fatto. Fino a qualche decennio fa era impensabile dirigere una grande banca o un’industria di punta senza avere i galloni militari. Oggi per qualsiasi datore di lavoro conta di più un dipendente che sul curriculum vanti di aver fatto il servizio civile. Lavorare nelle case per anziani, in progetti occupazionali o nell’ambito dell’aiuto allo sviluppo all’estero conta di più di una banale scuola reclute.
Approfittando della tragica guerra in Ucraina c’è chi non ha perso tempo per cercare consensi popolari invitando a spendere maggiormente per l’esercito. PLR e UDC chiedono due miliardi all’anno in più. Verrebbe da chiedere cosa ne hanno fatto Süssli e camerati dei miliardi ricevuti negli ultimi anni, se poi dobbiamo affidarci alla NATO al primo colpo di cannone sparato da est.
La signora Viola Amherd, capa del dipartimento della difesa, si è spinta anche più in là, chiedendo di rinunciare alla raccolta di firme dell’iniziativa che propone di non acquistare i jet F-35 per la modica spesa di sei miliardi di franchi. Come dire: la guerra è vicina, mettiamo i diritti popolari in cantina. Non un bell’esempio di senso civico e democratico per una consigliera federale.
Ai politici che rilanciano la necessità dei nuovi caccia statunitensi val forse la pena ricordare che il loro sistema informatico è collegato con il Pentagono, quindi anche qui, addio neutralità. Inoltre, non dimentichiamo che la Russia ha una forza aeronautica di più di 4 mila macchine micidiali: jet, bombardieri, elicotteri, missili vari. In pochi minuti i nostri caccia sarebbero distrutti. Ripetiamolo: per una politica di pace, no all’esercito!
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