Quando la grande musica frequenta l’anima
Domani sera l’atteso concerto di Paolo Conte nel tempio della Scala di Milano
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Domani sera l’atteso concerto di Paolo Conte nel tempio della Scala di Milano
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Domani sera l’atteso concerto di Paolo Conte nel tempio della Scala di Milano
La Scala di Milano è il tempio della musica lirica, la cappella Sistina dei melomani, l’Everest di tenori e direttori d’orchestra. Basta calcare il suo palco ed è subito curriculum. Un onore ed un vanto. Questo dall’anno della sua costruzione, vale a dire dal 1778 (manca poco e saranno 250 anni!). Scorrere i nomi dei protagonisti che si sono avvicendati su quel palco è fare i conti con la storia della musica (Verdi, certo, ma anche Toscanini, la Tebaldi, la Callas, Puccini, Muti, Abbado…).
Paolo Conte – parere personale ma condiviso da tantissimi – è il più grande chansonnier italiano. Una sfilza di cd alle spalle (è dal 1962 che è sulla breccia) e innumerevoli esibizioni in pubblico, sempre in sold out. Ha saputo narrare la provincia ma anche le grandi città, ha frequentato un linguaggio lirico sottile e profondo («Avevo una passione per la musica/di ruggine/nerastra tinta a caldo di caligine/Metropoli») senza per questo rinunciare ad un animo autenticamente popolare («Azzurro», che il recente Covid ha eletto quale secondo inno nazionale: era infatti cantato da un balcone all’altro nei momenti di cattività dal cosiddetto popolo).
Domenica 19 febbraio queste due eccellenze (lo so che in Ticino è un termine abusato ma qui ci sta tutto) si incontrano. Lei, la Scala antica ma sempre attuale (oltre che ristrutturata da Mario Botta nel 2’002) e lui, l’avvocato di Asti prestato per sempre alla canzone, con partenza dal jazz. Lei, abituata ai corteggiamenti della musica classica, si concede per la prima volta ad un cantautore. Eppure era già stata da altri adulata (un nome? quello di Bob Dylan, premio Nobel della letteratura, non per dire), ma niente. Giusto due scappatelle due per Keith Jarrett e Ludovico Einaudi, ma sono state due cose veloci, quasi indolori. Con la musica leggera il no è sempre stato perentorio. E lui, che ha frequentato altre cattedrali (l’Olympia ed il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, il San Carlo di Napoli, la Filarmonica di Chicago e l’Auditorium dei Berliner) a Milano non c’è stato mai. «Neanche come spettatore» ha confidato nell’intervista di presentazione. E adesso eccoli qui, per un appuntamento più unico che raro, un’occasione da «io c’ero». Non per nulla tutti i 2’007 biglietti sono stati venduti in poche ore.
Gli avvenimenti davvero importanti, si sa, non hanno bisogno di lanci prolungati con rulli di tamburi e squilli di tromba: nel loro esserci c’è già tutto. Una piccola conferenza di presentazione un paio di mesi prima e il gioco è fatto. Scontati i tentativi di polemica (Piero Maranghi, direttore di «Classica HD», ha parlato e scritto su “Il Foglio” di «violazione del tempio») e intuibile la malcelata emozione dell’avvocato che, nel 1979, cantava: «Lampi, / fuori nel buio temporale / e lampi / nel Teatro Comunale / … Io, che sono qui per rivederti / io, che non so un tubo di concerti»… e via con un «parapunzipumpunzipumpunzipum».
Il tinello maron con candelabri più unici che rari, l’ azzurro nella nebbia meneghina, il Mocambo catapultato nel’800 e le stelle del jazz a confrontarsi con quelle della lirica: questo ed altro nella serata scaligera.
Un momento speciale di «Vera musica», quella che … «sa far ridere/e all’improvviso ti aiuta a piangere/la grande musica frequenta l’anima/ col buio inutile, e non si sa perché, e non si sa perché». Era il 1981, è il 2023. L’avvocato ha pure precisato, sempre per nascondere con classe il pathos, che quella di Milano è la prima serata di una tournée che si concluderà ad Umbria jazz, vale a dire dove per lui tutto ha preso il via (erano gli Anni Settanta, lui era pianista e vibrafonista jazz…). Niente male per un ottantaseienne ancora in piena forma.
È da poco in libreria il romanzo “Battaglie d’amore in sogno” di Giovanna Lepori, edito da Dadò
Pubblicato in italiano dalla casa editrice Adelphi il discorso della scrittrice bielorussa in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura nel 2015