Ridateci un dibattito che si possa definire serio
Non si placa la polemica sull’agenda scolastica e le sue due pagine “gender”: è l’ora dei “dibattiti”, appaltati a politici pronti a dire tutto su tutto, al di là delle competenze - Di Massimo Danzi
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Non si placa la polemica sull’agenda scolastica e le sue due pagine “gender”: è l’ora dei “dibattiti”, appaltati a politici pronti a dire tutto su tutto, al di là delle competenze - Di Massimo Danzi
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Non si placa la polemica sull’agenda scolastica e le sue due pagine “gender”: è l’ora dei “dibattiti”, appaltati a politici pronti a dire tutto su tutto, al di là delle competenze - Di Massimo Danzi
« Matrioska » è una trasmissione televisiva che propone dibattiti, un “format” (e in generale una pratica volta all’approfondimento dei temi) di cui penso che molti (me compreso) sentano la necessità quanto la mancanza. Ho seguito buona parte del dibattito dello scorso 29 agosto sul tema complesso della «identità di genere”, che partendo dalla agenda scolastica proposta dal Decs e dal Dss ha riunito intorno ad un tavolo o in collegamento un gruppetto di politici di vario orientamento. Non entro nel tema, che è complesso. Mi interessano invece le modalità con cui si è sviluppata la trasmissione, perché spiegano, credo, il declino attuale del dibattito politico e culturale in diversi ambiti della nostra società.
C’è prima di tutto il problema della preparazione degli interlocutori, che vuol dire del tempo, delle energie e delle intelligenze dedicate all’argomento prima di intervenire: e insomma, per questa via, della competenza e « autorevolezza » ad esprimersi su un tema. Ma, come pare del tutto evidente, oggi ci troviamo in un epoca in cui, soprattutto attraverso i media (social ma non solo) tutti pensano sia possibile parlare di tutto e la crisi delle « élites » che dovrebbero potersi esprimere su questo o quel tema ma non lo fanno accresce ulteriormente questa tendenza.
Se pensiamo al programma di martedì sera è forte l’impressione che una parte importante dei presenti non solo non avesse conoscenze sufficienti del tema per parlarne, ma neppure si fosse molto preoccupata di acquisirle, angolando l’approccio alla polemica (che credo superflua) con l’agenda in questione. Certo, in quanto politici, si tratta di persone sollecitate molto (e a volte, persino troppo) a dire la loro su tutto. E, se l’esperienza che viene dalla politica può ben essere larga, anche per loro pare che la giornata duri ventiquattr’ore, e il tempo per prepararsi adeguatamente non c’è.
In un dibattito, poi, la stessa conduzione può determinarne il livello, che nel caso specifico, mi permetto di dire, mi è parso davvero piuttosto basso, insufficiente per trattare adeguatamente temi tanto ´delicati’. Su questo argomento, e non riferendomi soltanto allo specifico programma in questione ma più in generale ai dibattiti radiotelevisivi, penso che i mezzi di comunicazione dovrebbero interrogarsi molto di più, a maggior ragione se confrontati, come sono, con la disgraziata iniziativa sulle riduzioni dei finanziamenti voluta della destra neoliberale e leghista.
Tornando al caso di “Matrioska” (emblematico, vorrei dire, di un certo modo di organizzare e costruire i dibattiti televisivi), comincerei dall’esposizione delle tesi di chi parlava e dall’incapacità, con alcune notevoli eccezioni, di esporre le proprie idee. Se l’intento è, discutendo, quello di fare capire all’interlocutore la propria opinione, non è possibile costruire frasi che contengano parentesi e inserti sintatticamente contorti e molto più lunghi dell’idea principale. La dimensione orale del dibattito, che non è un testo scritto su cui si posso tornare con la lettura, non lo permette; e così un ascoltatore si perde e alla fine abbandona.
Credo anche che sia sempre utile un’esposizione pacata che sappia tenere a freno quando è il caso (e lo è stato), sentimenti e giudizi estemporanei, non sostenuti da un’articolata argomentazione. Una foga polemica (del tipo « ma di cosa parliamo »?, ecc.), finisce per svilire la discussione. Non mi piace l’inutile polemica: credo che i giudizi semplicemente vadano lasciati alla fine, perché solo l’argomentazione prodotta li rende credibili.
Terzo punto. Chi parla in un dibattito dovrebbe esporre, in breve, le tesi principali, pronto ad arricchirle nel seguito. Definire frettolososamente concetti storicamente complessi nello spazio concesso da un dibattito – penso a termini come « ideologia », « normalità », o al rapporto tra « maggioranza » e «diritto » a essere rappresentato – è certo possibile, ma richiede una preparazione culturale e capacità di sintesi. Altrimenti sono parole in libertà.
Torno, per concludere, su una questione cui ho già accennato, quella della scelta degli ospiti, e appunto, mi chiedo: perché non scegliere, quando si dibatte un argomento, interlocutori competenti e che conoscano il tema ? Perché indirizzarsi a un presidente di partito, nei fatti abbondantemente imbarazzato ? Perché invitare un consigliere nazionale e municipale luganese incapace di costruire una controargomentazione efficace che non sia affidata ad aneddoti scatologici su come evitare il servizio militare ? E perché, invece, non ascoltare chi ha conoscenza vera del fenomeno o lo ha vissuto in gioventù personalmente ? Certo, anche nel giornalismo come in altri campi, occorre informarsi e non semplicemente convocare cantori a chilometro zero.
A mio personale avviso, solo due interlocutori dei sei invitati alla trasmissione, hanno mostrato un livello di conoscenze fatto di idee e non di battute ad effetto ( penso, in particolare ad una ‘politica’, che è anzitutto una persona che riflette e si informa, e penso ad un suo collega, che da posizioni diverse, ha perlomeno portato delle testimonianze). Troppo poco.
Molte domande, forse, in questo mio intervento; ma alla fine anche un sospetto che non riesco a togliermi facilmente dalla mente. Non è che questo modo di fare informazione, e dunque di presentare e affrontare complesse questioni sociali e culturali, sia esso stesso, almeno in parte, responsabile del degrado in cui è scaduta quell’arte della discussione e del confronto di cui oggi, in non pochi e in diversi ambiti, sentiamo la mancanza?
Massimo Danzi è professore di letteratura italiana all’Università di Ginevra
Nell’immagine: gli ospiti in studio della puntata di Matrioska
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