Rifugiati africani: il 96% rimane nel continente
Sono oltre 40 milioni le persone costrette a sfollare con la forza. Ma pochissime di queste arrivano, di fatto, in Europa
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Sono oltre 40 milioni le persone costrette a sfollare con la forza. Ma pochissime di queste arrivano, di fatto, in Europa
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Sono oltre 40 milioni le persone costrette a sfollare con la forza. Ma pochissime di queste arrivano, di fatto, in Europa
Si tratta di discorsi che incitano all’odio, notizie false, luoghi comuni e stereotipi che, in alcuni casi, si sono trasformati in veri e propri miti. Ma quanti sono i rifugiati in Europa? Sono davvero così tanti come parole e toni allarmanti ci spingono a pensare? Proviamo a mettere un po’ d’ordine e a fare un po’ di chiarezza con l’aiuto di un recente rapporto pubblicato dall’Africa Center for Strategic Studies.
Attualmente sono circa 40,4 milioni gli africani costretti a sfollare forzatamente (sfollati interni, rifugiati e richiedenti asilo). Più del doppio rispetto al 2016. Statistiche che, tra l’altro, non tengono conto degli ultimi colpi di stato in Niger e Gabon. Oltre il 77% di questi 40 milioni sono sfollati interni nei rispettivi paesi.
Di chi lascia il proprio Paese di origine, si stima che il 96% rimanga comunque in Africa. L’80% dei migranti africani non ha interesse a lasciare il continente. E la maggior parte di chi lo lascia lo fa attraverso canali legali. Visti di reinsediamento o di istruzione, per fare un esempio.
Il report mostra come la maggior parte delle persone scappa dai conflitti. Dei 15 paesi africani che generano il maggior numero di sfollati forzati, 14 sono colpiti da scontri. A ciò si aggiungono i regimi autoritari che caratterizzano 12 di questi 15 paesi. I governi con tendenze autoritarie possono incidere sia direttamente che indirettamente sulla scelta di migrare. Attraverso la repressione e lo spregio dei diritti umani, nel primo caso. Mediante il conflitto, nel secondo.
Molti dei paesi africani in conflitto sono contigui e si estendono dal Sahel occidentale fino al Corno d’Africa, comprendendo il bacino del Lago Ciad e le regioni dei Grandi Laghi. La loro prossimità non è casuale, ma piuttosto il segno delle ricadute che i conflitti possono avere sulla stabilità regionale.
Emblematico a questo proposito è il caso del Sudan. Lo scontro tra l’esercito e la principale forza paramilitare ha provocato la fuga di civili verso sei paesi confinanti, molti dei quali già alle prese con propri conflitti interni o altri episodi di instabilità regionale.
Secondo il report, il numero di africani costretti a sfollare, in gran parte a causa dei conflitti, è aumentato nell’ultimo anno. In particolare, sono 6 i paesi che hanno registrato i maggiori incrementi nel corso del 2022: Sudan, Somalia, Rd Congo, Nigeria, Burkina Faso ed Etiopia. Questi sono responsabili del 64% degli sfollamenti forzati nel continente.
Anche gli spostamenti forzati legati al clima sono in aumento. Nell’ultimo anno, il numero di persone sfollate a causa di disastri naturali è quasi triplicato, arrivando a 7 milioni.
Se, storicamente, lo sfollamento forzato dovuto agli impatti climatici tende ad essere più temporaneo rispetto a quello dovuto ai conflitti, oggi non si può più dire così. Dal 2019, sono circa 2 milioni le persone che non sono potute tornare a casa. Cifra aumentata a 3,2 milioni nel 2022. La causa è il persistere di queste minacce. Inondazioni in primis, seguite da siccità e tempeste.
Il cambiamento climatico, unito ai conflitti prolungati, sta accelerando anche il modello di migrazione permanente dalle zone rurali a quelle urbane. Le persone si spostano alla ricerca di sicurezza, stabilità e mezzi di sussistenza. Tutte cose che, però, troppo spesso faticano a trovare.
Lo sviluppo infrastrutturale e le opportunità di lavoro di molti centri urbani del continente non tengono il passo con questi flussi di popolazione. E agli sfollati forzati non resta che stabilirsi in uno dei tanti insediamenti informali che proliferano nelle periferie delle città. Nuovamente privati di servizi pubblici e mezzi di sussistenza.
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