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Rocco Bianchi
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Scuola: tante idee e ben confuse
• 1 Febbraio 2023 – Rocco Bianchi

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

La scuola ticinese sembra non avere pace. Dopo la bocciatura nel settembre 2018 in votazione popolare de “La scuola che verrà”, o meglio del credito quadro da 6,73 milioni per finanziare la sperimentazione della riforma, si sono moltiplicate idee, iniziative e atti parlamentari. 

Cito a memoria (mi scuso per eventuali dimenticanze) e in maniera sintetica: il progetto del DECS per superare i livelli A e B in terza media, la cui sperimentazione è stata poi affossata lo scorso dicembre in Gran Consiglio dai voti di UDC, PLR, Lega e MPS; l’iniziativa popolare “Basta livelli nella scuola media” lanciata dal sindacato VPOD e sostenuta da PS e Verdi – è riuscita, per cui prima o poi la si voterà; una proposta PLR – “un po’ di tronco comune, un po’ di corsi a scelta e un po’ di approcci differenziati”, spiegò il presidente del partito Speziali, che giusto per chiarire aggiunse che la proposta liberale non era “un salto indietro, ma un salto un po’ avanti e un po’ di lato” (chiarissimo, no?); un primo pacchetto di atti parlamentari dell’MPS – quattro iniziative, di cui tre elaborate, e una mozione (a meno che ci sia sfuggito non ci è ancora giunta notizia del secondo, ma non disperiamo); le proposte del Centro – due iniziative parlamentari in forma elaborata e altrettante mozioni; l’iniziativa parlamentare generica UDC “Rinnoviamo la scuola dell’obbligo ticinese” (61 spunti di riflessione in cinque ambiti d’intervento: corpo insegnante, organizzazione scolastica, livelli, contenuti e ruolo dei genitori), approvata dal Gran Consiglio con 43 sì (PLR, Lega e UDC), 21 no (la sinistra) e 19 astenuti (il Centro); la recente proposta della Commissione formazione e cultura di anticipare il tedesco in prima media (come non si sa, ma a questo piccolo particolare ci penseranno poi tecnici, presidente della Commissione, il leghista Michele Guerra, dixit); l’ultimissima proposta sempre della detta Commissione per il superamento dei livelli (permesso alle scuole di sperimentare), approvata da PS, Centro e Lega ma non da UDC e PLR (quest’ultimo ha annunciato un rapporto di minoranza). Non male per quattro anni di lavoro – e poi c’è chi dice che i nostri politici non fanno altro che scaldare le sedie! 

In tutto questo guazzabuglio medievale, nel cui merito ci guardiamo bene dall’entrare, ci sembra comunque di poter individuare due approcci distinti, per non dire antitetici, tra chi vede nella scuola soprattutto uno strumento funzionale alla successiva entrata del giovane mondo del lavoro, a qualsiasi livello poi si collochi, e chi invece ritiene la scuola un luogo soprattutto di scoperta e apprendimento del mondo e di sé, ossia di cultura nel senso più ampio del termine e di educazione (in senso etimologico: dal latino e(x)ducere, ossia “tirar fuori” e far scoprire e sviluppare all’allievo ciò che ha di autentico e proprio).

Da una parte dunque una visione sincronica dell’istituzione (formo persone che entreranno nel mondo del lavoro tra 15 o 20 anni in funzione di quello che ritengo siano le attuali  esigenze della società), dall’altra una se non atemporale per lo meno il più possibile diacronica (formo oggi delle persone affinché siano in grado di cavarsela qualsiasi cosa si troveranno ad affrontare in futuro perché ho dato loro gli strumenti per apprendere). Quale sia tra queste visioni quella a più ampio respiro lascio ai lettori decidere.

Ma qui entriamo in ciò che divide; più utile al dibattito dovrebbe essere capire ciò che unisce, e da lì dunque partire per comporre eventuali differenze e trovare una visione comune. In questo senso, se il fine primo da tutti dichiarato è migliorare il comunque già buon livello della scuola ticinese, un confronto tra il nostro sistema e quello internazionalmente da anni ritenuto tra i migliori al mondo, quello della Finlandia, potrebbe forse suggerire alcune piste da approfondire (copiare no, a detta degli esperti non è possibile).

Premessa non trascurabile, perché certe cose sono anche la cartina di tornasole per comprendere un popolo e un modo intendere il governo e il ruolo dello stato, è dagli anni ’30 che le neomamme finlandesi ricevono un “pacchetto maternità”, in cui tra le altre cose ci sono dei libri (per i genitori e per i bambini). Il segnale è chiaro: la cultura dell’apprendimento inizia fin dalla nascita, e in famiglia.

Senza entrare nei dettagli, a Helsinki la scuola dell’obbligo hanno deciso di strutturarla così: dopo una serie di programmi forniti da centri diurni e un anno propedeutico non obbligatorio (non stupitevi: le leggi finlandesi prevedono fino a 3 anni di congedo parentale, e i costi degli asili nido sono irrisori), la scuola obbligatoria inizia a 7 anni e dura fino ai 16. Non prevede stacchi o passaggi (elementari seguite dalle medie) ma è indivisa e unica. A questa segue una scuola secondaria superiore, solitamente della durata di tre anni, che prevede due indirizzi: uno per il proseguimento degli studi (università e politecnici) e uno per l’inserimento nel mondo del lavoro.

Piccolo particolare non senza importanza, nella scuola dell’obbligo finlandese non esiste la bocciatura, semplicemente perché non esiste la progressione da una classe all’altra ma solo la progressione personale all’interno di un dato corso (a ben vedere non esistono dunque neppure le classi). Compiti a casa pochi, test e verifiche pure (non si studia e non si insegna per le verifiche, ma per apprendere e imparare ad apprendere).

Corollario a questa filosofia, fino ai 13 anni non esistono le note come noi le intendiamo (una valutazione rispetto al livello raggiunto in base all’età e al programma da svolgere), e anche dopo si ricevono solo giudizi motivazionali che registrano i progressi compiuti e i punti da migliorare. 

Gli allievi che manifestano disagi e difficoltà di apprendimento e socializzazione vengono seguiti immediatamente, ciò che spiega come mai in Finlandia, a differenza di altri Paesi (Svizzera e Ticino compresi), la proporzione di allievi che usufruiscono di attività di sostegno con l’età non aumenta, bensì diminuisce.

Di conseguenza in Finlandia a scuola non esiste la competizione, bensì la cooperazione – tra allievi, tra docenti e tra allievi e docenti e pure tra scuole – ciò che permette anche di variare e sperimentare di continuo nuove soluzioni pedagogiche ed educative adattandole ai presenti (e al presente). Insomma, la scuola in Finlandia è intesa come luogo di apprendimento in cui dare la possibilità ai giovani di sviluppare al meglio le loro potenzialità, qualunque esse siano. Con ciò, visto che tutti, quasi senza accorgersene e senza fatica, tendono a dare il meglio di loro stessi proprio perché lo fanno soprattutto per loro stessi, è evitato il livellamento verso il basso. 

Ultima curiosità, in Finlandia non esistono scuole private.

Modello simile in Estonia, nazione emergente che punta molto sulla formazione e che nell’ultimo rilevamento ha superato proprio la Finlandia: a scuola senza stacchi dai 7 ai 16 o 17 anni anni, grande autonomia didattica delle scuole e degli insegnanti, niente note ma solo valutazioni personalizzate in cui si evidenziano i punti forti e le debolezze degli allievi.

Dato non trascurabile: tutti questi Paesi, così come del resto tutti gli altri top ten delle classifiche internazionali, investono nella scuola almeno il 6% del PIL. A titolo di paragone il Ticino investe circa il 4%, ciò che nel confronto intercantonale ci colloca al terzultimo posto (dati 2020). Sarà un caso?

Nell’immagine: una scuola “senza pareti” in Finlandia






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