Il peso delle parole e dei silenzi
In un momento storico drammatico come quello che stiamo vivendo, le parole assumono un’importanza pari forse solo a certi specifici silenzi, come quello del Papa
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In un momento storico drammatico come quello che stiamo vivendo, le parole assumono un’importanza pari forse solo a certi specifici silenzi, come quello del Papa
• – Enrico Lombardi
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• – Redazione
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• – Redazione
A picco un altro pezzo dell'immagine di potenza russa; e il Cremlino all'angolo potrebbe diventare ancor più preoccupante
• – Redazione
L'esperto Luca Lovisolo (autore del recente saggio 'Il progetto russo su di noi') commenta l'articolo della Novosti sulla 'denazificazione' del paese invaso, tradotto e integralmente pubblicato da Naufraghi/e
• – Redazione
L'agenzia RIA Novosti, controllata dal Cremlino, pubblica un allucinante piano su ciò che la Russia intende per 'denazificazione' del paese invaso: ci vorranno 25 anni, la popolazione non russofona è stata complice e dovrà pagare e redimersi sopportando le difficoltà della guerra, le élite saranno eliminate, e l'Ucraina dovrà cambiare nome
• – Redazione
Scendono in campo anche tre ex consiglieri federali. Il duello più acceso è fra Micheline Calmy-Rey e Christoph Blocher. Più pacato, ma altrettanto determinato, Kaspar Villiger
• – Daniele Piazza
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• – Franco Cavani
Il governo cinese ha imposto un rigido lockdown nella città di 26 milioni di abitanti e in altri centri: i positivi reclusi e ammassati in strutture affollate e poco igieniche; molti abitanti senza cibo protestano contro una pratica totalitaria della ‘tolleranza zero’
• – Loretta Dalpozzo
Video della serata di discussione con Elly Schlein, Marina Carobbio e Greta Gysin Elly Schlein, La nostra parte, Ed. Mondadori Stampa / Pdf
• – Redazione
In un momento storico drammatico come quello che stiamo vivendo, le parole assumono un’importanza pari forse solo a certi specifici silenzi, come quello del Papa
La “gravità” delle parole ha a che fare con la stessa forza, di gravità appunto, che ne definisce il peso, che le tiene a terra, che ne contrasta la fin troppo ricorrente fatale volatilità. Perché le parole si manifestino più pesanti e pensanti, le si scrivono, molto spesso senza troppa considerazione o consapevolezza circa il fatto che pensare, dire e scrivere non sono proprio la stessa cosa.
In quest’epoca in cui si assiste ad una diffusione estrema della parola scritta attraverso la rete pervasiva di chat e social media, proprio mentre sembra di vivere dentro un proliferante cicaleggio di voci e di messaggi, che vanno dalla leggerezza conturbante degli slogan (pubblicitari quanto politici) alla gravità di situazioni estreme che invocano un dialogo per ora fra sordi, la parola continua, una volta di più, ad essere uno strumento cruciale di lettura del mondo e di confronto fra visioni ed opinioni.
Ma, appunto, va “misurata”, e commisurata al contesto, alle circostanze. Ce lo ha mostrato, per esempio, il presidente americano Biden con quel suo “macellaio” affibbiato a Putin, da cui tutti i leader politici sono corsi, diplomaticamente, a prendere le distanze. Ora, sappiamo che l’ineffabile inquilino della Casa Bianca non ha sempre propriamente sotto controllo il fiato che emana, ma quanti si sono chiesti se non avesse poi così torto? Quanti hanno poi, di seguito, appesantito l’aria già grave (e pure greve) nell’alimentare lo scontro totale, a livello planetario, che certo non aiuta a capire e a cercar di parlare?
E da noi, quanto conta, quanto vale, quanto pesa in questi tristi giorni la parola “neutralità”, rimasticata un po’ da tutti, a seconda degli schieramenti, per dire che è “adattata”, “commisurata”, “stravolta”, “tradita”?
Guardando appena un po’ più a Sud, affacciandoci dal finestrino rivolto oltre frontiera (da cui sappiamo, per esperienza ferroviaria, che può essere pericoloso sporgersi), come non ritrovare, ancora una volta, tutta un serie di spunti (di riflessione?) che ci vengono dalla persistente predisposizione di tanta stampa, radio e televisione, a tradurre ogni pensiero (poco importa di chi) in una voce da dibattito, da collocare dentro arene incandescenti dove volano “parole grosse” (e non sempre pesanti).
Da un “circo mediatico” non propriamente incoraggiante, si sfornano “personaggi”, che assurgono in un batter d’occhio al ruolo di demiurghi più che per le loro ipotetiche “opinioni” per la maniera che hanno di esprimerle, in un ininterrotto susseguirsi di “mi lasci finire”, “lei è un maleducato”, “non ha capito”, “si informi” declinati un po’ a mo’ di preghiera un po’ a mo’ di minaccia.
Il caso più eclatante di queste settimane, è quello di Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale, professore associato nel dipartimento di Scienze politiche della Luiss, dove insegna Sociologia generale e Sociologia del terrorismo. Insomma, quel che si dice un esperto, che un po’ a peso morto si è tuffato nel rutilante tritacarne televisivo, forte del peso specifico del suo curriculum e soprattutto di una progressiva acclimatazione ai meccanismi dei torridi dibattiti televisivi di cui è diventato in men che non si dica un vero campione, in presenzialismo, in capacità di provocare le reazioni più spropositatamente pesanti, compresa la cancellazione del suo profilo in Wikipedia.
Orsini non è per nulla uno stolto, anzi, è colto e preparato. Naturalmente è “schierato”, come si conviene in ogni ring di ogni dibattito: dove va (pagato o no), rappresenta il “filo-putiniano per eccellenza”, poco importa se qua e là dica cose che filo-putiniane non lo sono. Ma anche a lui sta bene così, e con il suo atteggiamento grave e corrucciato, dà tendenzialmente dell’ignorante (direttamente o in modo indotto) a chiunque si confronti con lui e non sia della sua opinione.
Ora che ha raggiunto un’insperata notorietà (non necessariamente per meriti, ma ci vogliono anche i “cattivi” o i “finti buoni” nei film!) ha da poco annunciato che partirà in tournée teatrale, mettendo in scena un monologo tratto dal suo libro, di prossima pubblicazione, dedicato alla “sua” guerra in Ucraina. Perché in teatro? “Perché lì non vengo continuamente interrotto”, ha spiegato. Beh, certo, con Orsini facciamo proprio un bel passo avanti nella direzione del confronto e del dialogo.
Quali alternative? Beh, una ci sarebbe, anzi c’è, ed è di un “peso massimo” (lo si consenta, detto con rispetto): nientemeno che Papa Francesco, che, lo sappiamo, ha ripetutamente preso posizione contro la guerra (al punto da diventare, per qualche giornalista alla Galli della Loggia, un filoputiniano: un’assurdità!), e che proprio nel giorno del Venerdì Santo, intervistato alla RAI, ha deciso di dire… senza parlare. Alla domanda su come vivesse il momento, quel momento, delle tre del pomeriggio, il Papa è rimasto in silenzio, per un minuto. Un silenzio che pesa, eccome, nel dire che non sempre si deve o si può parlare, senza una profonda riflessione, senza pensare a quanto vale quel che si dice, a quanto sia difficile, a volte impossibile, esprimersi a parole “giuste” sull’orrore, il terrore, il dolore.
Senza dirlo, il Papa ha detto che forse sarebbe anche il momento di prendere fiato, soppesare le parole ed i termini, provare a cercarne di nuovi, che dicano, certo, ma soprattutto inducano a prendere la strada del confronto e del dialogo, che è una strada che ad un certo punto, prima o poi, conduce ad un incrocio. A noi sta, forse, di capire, anche a Pasqua, che a quell’incrocio potremmo andare tutti a sbattere. Oppure no.
Nell’immagine: Lucio Fontana, Concetto spaziale (dettaglio)
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