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Lelio Demichelis
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Che Elon Musk sia un tipo strano lo sappiamo da tempo – e dire strano è un eufemismo. Mercoledì è arrivato alla sede di Twitter – ora diventata sua – tenendo tra le braccia un lavandino. Escluso che se ne fosse rotto uno nei bagni dell’azienda e che volesse sostituirlo lui stesso per compiacere i suoi nuovi dipendenti, quale significato assegnare a questo gesto? Ma poi, ha un significato? Che Musk sia psicologicamente instabile nonché amante dei giochi infantili e degli scherzi, anche questo lo sappiamo da tempo.

Dunque, Musk alla fine – a poche ore dalla scadenza fissata dal giudice – si è comprato Twitter per 44 miliardi di dollari e dopo una telenovela mediatica e giudiziaria iniziata a gennaio 2022. E ora che ne è finalmente il padrone, Musk ha iniziato subito a fare pulizia del precedente management (il lavandino serviva allora per dare metaforicamente questo segnale?), licenziando il Ceo Parag Agrawal; il Chief financial officer, Ned Segal; il responsabile degli affari legali e delle policy, Vijaya Gadde; e il General counsel, Sean Edgett. Ovvero, nuovo padrone, nuovo management.

In realtà, ben oltre il lavandino, altre e più importanti sono le questioni – ed è su queste che dovremmo piuttosto e più seriamente riflettere. Il lavandino è infatti contorno o retorica o storytelling manageriale. Già, perché Musk è un miliardario e un imprenditore e le due cose sommate insieme ne fanno una delle massime espressioni del potere del capitalismo neoliberale e tecnologico, capace oggi di governare appunto la vita intera (lavoro, informazione, comunicazione, emozioni, relazioni, politica, socialità) di miliardi di persone in tutto il mondo, a prescindere dai singoli stati, dalla democrazia, dalle libertà individuali.

Musk ha infatti spiegato di aver voluto acquistare Twitter spinto dall’amore e dalla voglia di aiutare l’umanità: “Acquisto Twitter perché è importante per il futuro della civilizzazione avere una piazza comune digitale dove un’ampia gamma di idee possa essere discussa in modo salutare senza ricorrere alla violenza”, evitando il pericolo che il social media si divida in “camere di risonanza della destra o della sinistra che generano più odio e dividono il Paese”. Ed ha aggiunto di voler trasformare Twitter in una super-app – l’app di tutto – all’interno della quale gli utenti possano fare anche molte altre cose oltre che postare. Twittando poi a sua volta: “L’uccellino è libero!” con riferimento al logo di Twitter.

Ma è davvero libero? Oppure – come crediamo – è stato messo in una gabbia diversa e solo apparentemente nuova, non essendo stato libero neppure prima di Musk? Partiamo allora dalle retoriche muskiane: dice di essere stato spinto ad acquistare Twitter dall’amore e dalla voglia di aiutare l’umanità, per dare un futuro alla civilizzazione. Come definire queste retoriche, se non come il frutto di una egolatria, di un egocentrismo, di un narcisismo patologici e portati all’ennesima potenza? E possiamo affidare il futuro della civilizzazione – Musk non ha però specificato a quale si riferisca in particolare: quella scientifica o quella umanistica, quella capitalistica o quella ecologica, quella del profitto o della solidarietà? – a un monopolista miliardario che va in giro tenendo in mano un lavandino? È questa la civilizzazione? Musk afferma inoltre di essere un “assolutista della libertà di espressione”, ma lo scorso maggio aveva detto di voler riammettere nel social media l’ex presidente degli USA Donald Trump, che era stato invece bandito dalla precedente gestione per alcuni tweet che legittimavano l’assalto golpista al Congresso americano del 6 gennaio 2021.

E allora, ci può essere libertà di espressione – e libertà tout court e democrazia e vera partecipazione e poi decisione consapevole e condivisa – se un solo padrone (che opera in nome del profitto privato) gestisce tutta la piazza virtuale ed è padrone dell’app di tutto? Ci può essere libertà e democrazia se tutto – la vita, l’informazione, la socialità, la comunicazione, la politica, eccetera) – è gestito da imprese private e da un uomo solo al comando, figura tanto vicina a quella di un dittatore? Evidentemente no, per la contraddizione che non lo consente.

E tuttavia Musk e Zuckerberg (e molti altri) devono essere usciti dalla stessa scuola di management, visto che anche il padrone di Meta affermava anni fa che Facebook era stato creato per rendere il mondo più aperto, con la mission di dare alle persone il potere di costruire comunità e unire sempre di più il mondo. Sappiamo come è andata a finire e sappiamo appunto che queste erano solo retoriche propagandistiche per estrarre sempre più dati dalla vita delle persone e dal loro chiudersi in comunità, trasformandole in forza-lavoro di massa (di dati) per accrescere il profitto privato di pochi.

Appunto, l’uccellino non è – e non sarà mai – libero: gli è stata aperta la precedente gabbietta per farlo entrare subito in quella costruita da Musk. Perché Twitter impiega oggi oltre 7.500 persone, ma soprattutto ha più di 200 milioni di utenti giornalieri, con un fatturato di 5,08 miliardi di dollari.

Altro che aiutare l’umanità e dare un futuro alla civilizzazione… Musk è un pericolo concreto, serissimo e inquietante per la libertà e per la democrazia. Dovremmo farlo smettere (e in fretta, per evitare di fare un altro passo verso la totale aziendalizzazione della vita e del mondo), invece di farci catturare dalle sue retoriche da lavandino.






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