L’eclissi del pensiero critico e altre sfide per la formazione (seconda parte)

L’eclissi del pensiero critico e altre sfide per la formazione (seconda parte)

Governance: il governo “spensierato” dell’esistenza


Fabio Merlini
Fabio Merlini
L’eclissi del pensiero critico e altre sfide...

Se il regime dell’immediatezza è la priorità dell’”uomo della risposta” sull’”uomo della domanda” lo stesso processo, lo possiamo osservare anche da un altro punto di vista – quello definito dalla nozione di governance, termine che compare per la prima volta ufficialmente in una pubblicazione della Banca Mondiale nel 1989.

Chiediamoci, allora, che cosa sia successo quando, in piena globalizzazione, il potere pubblico ha ripensato lo spazio dinamico della propria azione in termini di gestione eminentemente aziendalistica e prudentemente amministrativa. Più esplicitamente, che cosa sia accaduto al pensiero critico della Società quando la politica ispirata sino ad allora alla nozione moderna di sovranità, con i suoi processi decisionali verticali e gerarchici e i suoi modelli di rappresentanza, si è orientata a una maggiore orizzontalità e decentralizzazione per assicurare, così si argomentava, più inclusività ai diversi attori coinvolti. Dunque: che cosa è accaduto quando dall’idea moderna della rappresentanza e della finzione del contratto sociale originato da una volontà generale astratta, quale fondamento della legittimità democratica, si è passati a previlegiare una legittimità orientata all’output, spingendo piuttosto sulla capacità performativa degli attori sociali, secondo, la logica del problem solving?

Diciamolo senza giri di parole: è accaduto che la critica come risorsa della prassi sociale si è scontrata, uscendone perdente, con una riorganizzazione del tessuto sociale prevalentemente preoccupata di predisporre le regole per indurre alla concorrenza i partecipanti del gioco economico. Un continuo inseguimento al miglior livello di competitività, secondo la logica imperativa, fatta propria da Stati e Società, della inesausta concorrenza di posizione.

La centralità è ora assunta dalle circostanze e dal loro dinamismo instabile (congiuntura), e il compito è quello di trasformare individui, organizzazioni e istituzioni in concorrenti, all’interno di un mercato che si afferma quale istanza ultima del giudizio su merito e valore. Anche la conoscenza e la ricerca finiscono con l’allinearsi necessariamente su questo obiettivo.

Regole e competenze devono così continuamente essere conformate alla mutevolezza delle circostanze. Il reale-sociale cessa, in un certo senso, di essere un possibile oggetto del pensiero, per presentarsi alla stregua di un dato di fatto indiscutibile che va governato, incrementato, migliorato (ma mai delegittimato o rimesso in discussione), secondo gli interessi degli attori in competizione tra loro. E questa competizione finisce con l’assorbire tutto il tempo, poiché si presenta come il tutto del tempo. Così come concerne gli individui e le imprese, vincola anche le istituzioni formative e di ricerca.

La critica diserta le aule delle istituzioni formative, poiché ora ciò che importa è mostrare la propria abilità nel rispondere competentemente alle circostanze, di farsene carico e di farvi fronte nel modo più efficace possibile. Efficacia e virtù diventano così la stessa cosa: il comportamento più efficace, più competente è anche il comportamento più virtuoso. Bisogna imparare ad essere resilienti. “Resilienza” è infatti il termine con il quale definiamo oggi la nostra capacità virtuosamente adattativa.

Ma la critica diserta anche in un certo senso la ricerca, poiché si tratta di una ricerca che si valorizza attraverso la sua forza di incidenza in termini di soluzioni a portata di mano, relativamente ai diversi campi e territori che ne costituiscono l’insuperabile orizzonte di applicazione. Ha la sua legittimità in questo orizzonte, e così come parte da esso deve ritornare ad esso con soluzioni praticabili.

Allora, ideale è quando la ricerca incontra le esigenze di un Programma quadro istituzionale di ricerca, vale a dire quando si impegna con i suoi metodi empirici a risponde a urgenze ben precise volte a sbloccare, risolvere, emendare una o più criticità rispetto a un determinato spazio d’intervento. Al più, la critica è ancora solo una attività ripensata dal lato dei suoi processi logico-formali, un training per imparare ad argomentare secondo coerenza; un sapere metacognitivo per verificare il buon funzionamento del proprio modo di condurre il pensiero. È la critica come epistemologia o come logica argomentativa.

Anche in questo caso, dalla società la critica si sposta sull’individuo, sulle istituzioni, sulle organizzazioni, chiedendo loro di farsi carico dei propri processi riflessivi, mettendoli a tema (“individuo riflessivo”, “comunità apprendente”). È una critica ripensata all’interno della logica dell’utilità immediata e dell’operatività strategica per una miglior governance dell’esistente. E non certo della sua emendazione in direzione di una maggior equità tra tutte le componenti organiche coinvolte (umane, animali, ambientali).

Qui la prima e la terza parte
Fabio Merlini è direttore della Scuola universitaria federale per la formazione professionale (SUFFP)
Nell’immagine: una celebre scena della compagnia svizzera Mummenschanz

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