Acquistare una targa bassa sborsando migliaia di franchi
Uno scandalo che dice molto di un certo tipo di vuoto edonismo, e di certe teste
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Stavolta il capo de Dipartimento delle Istituzioni non ha potuto prendersela nemmeno con lo ‘straniero’, come avvenne cinque anni fa: quando, commentando lo scandalo dei ‘permessi facili’, Norman Gobbi dichiarò che era stato “un errore assumere un italiano [peraltro naturalizzato, ndr], soprattutto per l’Ufficio della migrazione. Questo per me non è accettabile. Non ho mai sentito di uno svizzero che lavorasse per le autorità italiane”.
No, stavolta nemmeno questa ‘soddisfazione’ nel caso dello scandalo (coinvolto un 34enne funzionario, reo-confesso, del Servizio immatricolazioni) della vendita sottobanco e tra privati di targhe pagate a caro prezzo pur di ‘appiccicare’ alla propria automobile un numero ‘prestigioso’. Protagonista, il funzionario in questione, della vita politica bellinzonese, per l’UDC, e anche assessore giurato alla Corte d’appello e revisione penale. La giustizia dirà. Ma a noi interessa un altro aspetto della vicenda. Scopriamo, da perfetti ingenui, che c’è chi è disposto a sborsare cifre considerevoli, anche a cinque zeri, pur di far proprie delle targhe definite dal Corriere del Ticino ‘particolarmente ambite’, cioè con non più di quattro numeri. E naturalmente più il numero è basso, più salato è il prezzo.
Un esibizionismo costoso. Davvero c’è da chiedersi cosa ci sia nella testa e nella bizzarra vanagloria di chi partecipa all’esosa corsa. E quale siano utilità e prestigio nel sistemare nel posteriore della propria vettura (e… non solo della propria auto) quello che dovrebbe essere un tratto distintivo. Tratto non certo di sublime eleganza, ma di squallida burinaggine se per avere quelle targhe si sborsano migliaia e migliaia di franchi.
Esageriamo? Non ci sembra visto che, in un opportuno riquadrato, il Corriere del Ticino fa un esempio concreto e squallidamente indicativo: sapete quanto venne pagata la targa TI 9? Ottantamila franchi. Soldi che, se frutto di un’asta pubblica, come in questo clamoroso caso, servono a finanziare programmi di prevenzione, tipo ‘protezione delle acque’ o ‘strade sicure’. Ma non i proventi delle vendite private, che avvengono in una sorta di nebulosa. Sembra anche che certe cifre sulla targa in alcuni casi inviino anche segnali subliminali.
Chissà quali somme giravano per spingere un funzionario dello Stato, nonché impegnato nella vita politica cantonale, a mettersi così clamorosamente nei guai, favorendo un venditore luganese, anch’egli inchiestato, che si era inventato il ruolo acchiappaclienti. Così, un Gobbi “amareggiato e arrabbiato” afferma che ora “si impone una riflessione sulle vendite tra privati”.
Ma intanto ciascuno di noi può quantomeno scegliere come “targare” la dispendiosa e inutile vanagloria di certe teste.
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