Crimini contro l’umanità a Bellinzona

Crimini contro l’umanità a Bellinzona

Per la prima volta si svolge nel nostro Paese un processo che chiama alla sbarra, con la più grave imputazione esistente, un militare responsabile dei più efferati massacri durante la guerra civile liberiana


Federico Franchini
Federico Franchini
Crimini contro l’umanità a Bellinzona

Nel giugno 2021, la sentenza fu storica: Alieu Kosiah, ex capo comandante delle milizie liberiane dell’ULIMO, è stato condannato a 20 anni di prigione dal Tribunale penale federale (TPF) per crimini di guerra. L’uomo è ritenuto colpevole di aver violato le leggi di guerra durante il primo, sanguinosissimo, conflitto civile in Liberia fra il 1993 e il 1995. 

Alieu Kosiah, arrestato nel 2014 a Losanna, è ritornato in questi giorni a Bellinzona. Da sempre dichiaratosi innocente si è opposto alla decisione. Il processo di appello si è aperto negli scorsi giorni e durerà fino ad inizio febbraio. Rispetto al primo dibattimento, vi è una novità sostanziale. Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha aggiunto il capo d’accusa, ancor più grave, di crimini contro l’umanità. 

In precedenza, il procuratore federale Andreas Müller si era rifiutato di estendere l’azione penale in base al principio di non retroattività. In sostanza si riteneva che la disposizione sui crimini contro l’umanità, entrata in vigore nel 2011, non potesse essere applicata a questo caso. Nel frattempo, però, una decisione del TPF nell’ambito di un’altra vicenda – l’assassinio di un oppositore iraniano avvenuto nel 1990 nel Canton Vaud – ha cambiato le cose. L’atto d’accusa è stato quindi modificato, mettendo in risalto il fatto che le presunte atrocità commesse da Alieu Kosiah potrebbero far parte di attacchi sistematici lanciati contro la popolazione civile e quindi non essere più considerate “solo” come crimini isolati. Un cambio d’approccio importante per le vittime, alcune delle quali presenti a Bellinzona per rivivere in prima persona le atrocità subite e guardare negli occhi l’ex comandante militare.

Vada come vada, anche questo secondo processo è quindi da considerarsi storico. È infatti la prima volta che un imputato viene processato in Svizzera per questo reato. Dal 2011, quando sono entrate in vigore in Svizzera le nuove disposizioni dello Statuto di Roma, la Procura federale ha la competenza di giudicare e punire una persona che ha commesso atti contro l’umanità e crimini di guerra anche al di fuori del territorio elvetico. 

L’MPC si era allora dotato di una speciale unità che, però, malgrado i proclami iniziali è stata indebolita e accusata da più parti di lentezza e scarsi risultati. Certo, i casi – una quindicina quelli in corso – sono complessi, difficili e delicati da un punto di vista geopolitico e politico. Significativa a proposito è la vicenda che ha toccato nel 2013 la raffineria ticinese Argor-Heraeus per un affare di oro proveniente dalla Repubblica democratica del Congo. Un dossier ultrasensibile che ha riguardato una delle più importanti società al mondo del settore, nel cui Cda sedeva in quel momento l’ex Consigliere federale Adolf Ogi. Dopo le perquisizioni e l’apertura di un procedimento penale, l’inchiesta si è conclusa il 15 marzo 2015 con un decreto d’abbandono. Due giorni dopo Adolf Ogi lascerà il Cda della società. Seppur scagionata – ha detta dell’MPC – la società avrebbe potuto sapere che l’oro con grande probabilità proveniva da un sanguinoso conflitto. 

In passato, due commissari speciali del Consiglio dei diritti umani della Nazioni Unite hanno interpellato il Consiglio federale su “l’apparente mancanza di volontà politica della Svizzera di indagare sui crimini internazionali” denunciando anche “ingerenze politiche”. Appena nominato, il nuovo procuratore generale Stefan Blättler ha dichiarato pubblicamente che la lotta all’impunità per i crimini internazionali sarà uno dei quattro pilastri del suo lavoro. Le ONG attive in questo ambito come Trial International hanno apprezzato un cambiamento di atteggiamento. Anche perché sembra esserci, almeno a parole, la volontà di esaminare il ruolo degli attori svizzeri nel saccheggio delle materie prime in contesti bellici. Tra le inchieste aperte vi sono, ad esempio, quella che riguarda un’impresa di Zugo che avrebbe venduto del petrolio ad un gruppo armato in Libia e quella che concerne un uomo d’affari attivo nel settore minerario in Congo. Staremo a vedere se, come nel caso Alieu Kosiah, queste indagini si concretizzeranno in atti d’accusa.

Nell’immagine: Alieu Kosiah durante un processo

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