Multa di oltre un miliardo per la multinazionale svizzera Glencore
Sul mercato globale, a volte, è più redditizio pagare le sanzioni che abbandonare pratiche illegali
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Sul mercato globale, a volte, è più redditizio pagare le sanzioni che abbandonare pratiche illegali
La multinazionale svizzera Glencore dovrà pagare 1,06 miliardi di dollari alle autorità degli Stati Uniti e del Brasile, dopo essersi dichiarata colpevole di attività di corruzione in Africa e in Sudamerica, nonché di manipolazione dei mercati petroliferi. La notizia è ormai di qualche settimana fa. È stata battuta dalle principali testate, ma è passata un po’ così: in sordina. Quasi fosse una cosa ovvia, scontata. Di fatto, lo è: il gruppo era nel mirino del Dipartimento americano di giustizia (DOJ) dal 2018 e nel rapporto annuale 2021 inoltre la stessa Glencore aveva già registrato un accantonamento di 1,5 miliardi proprio in vista di saldare questi contenziosi giudiziari. L’unico, forse, a essere stato colto di sorpresa è il Consigliere federale Ignazio Cassis che, con Glencore già sotto indagine negli USA, si era reso protagonista nel gennaio 2019 di un imbarazzante endorsement nei confronti della multinazionale.
Al di là di questo, però, cosa ci dice l’ammissione di colpa negli Stati Uniti? Al centro della vicenda vi sono mazzette distribuite come cioccolatini in Nigeria, Repubblica democratica del Congo (RDC) e Venezuela. Il Plea Agreement (l’accordo d’ammissione tra le autorità statunitensi e Glencore International AG, così come il riassunto dei fatti ( qui e qui) pubblicati negli States mettono in luce la cultura della corruzione imperante in seno al colosso basato nel Canton Zugo. Una cultura diffusa e persistente, non limitata agli intermediari locali o a qualche trader disonesto, ma perpetrata da alcuni dei più alti dirigenti del gruppo. Non citati nominalmente, nel mirino delle indagini americane sono finiti soprattutto due manager di altissimo livello: Telis Mistakidis e Alex Beard, che hanno lavorato per Glencore per decenni e, prima di lasciare l’azienda qualche anno fa, sono stati tra i più stretti luogotenenti dell’ex amministratore delegato Ivan Glasenberg. Il primo (Mistakidis) era un «dirigente di alto livello» nel reparto rame e zinco, il secondo (Beard) è identificato come il «capo globale del dipartimento petrolio».
Nei documenti, Alex Beard corrisponde alla descrizione di “Executive 1”, ossia colui che ha accettato di pagare 14 milioni di dollari attraverso una società di intermediazione dell’Africa occidentale nel 2011, «sapendo che il denaro sarebbe stato utilizzato, almeno in parte, per pagare tangenti a funzionari nigeriani». Telis Mistakidis è invece “Executive 3”, una persona coinvolta in uno schema di corruzione di funzionari nella RDC. Il manager ha scambiato e-mail con l’agente della Glencore nel Paese, in cui l’agente diceva che «abbiamo bisogno di pressioni politiche» per prevalere in una controversia contrattuale e suggeriva che una «quantità ragionevole di munizioni » (reasonable amount of ammunition) avrebbe risolto il caso. Un’unità della Glencore ha effettuato un pagamento di 500.000 dollari pochi giorni dopo. Il manager d’origine greca è diventato miliardario lavorando per Glencore, di cui era diventato uno dei principali azionisti. Nell’ambiente, il suo ruolo è considerato determinante nella trasformazione dell’azienda da piccola società con una reputazione sulfurea a gigante globale delle materie prime (con altrettanta reputazione sulfrea). L’uomo era stato poi sacrificato e allontanato dal gruppo nel 2018 proprio in seguito a problemi contabili della filiale congolese del gruppo svizzero.
In una conferenza stampa, il procuratore americano Damian Williams non ha usato mezzi termini: «La portata di questo schema di corruzione criminale è sconcertante. Glencore ha pagato tangenti per ottenere contratti petroliferi. Glencore ha pagato tangenti per evitare gli audit governativi. Glencore ha corrotto i giudici per far sparire le cause. In sostanza, Glencore ha pagato tangenti per ottenere un profitto, per un ammontare di centinaia di milioni di dollari. E lo ha fatto con l’approvazione, se non con l’incoraggiamento, dei suoi massimi dirigenti». Il DOJ afferma inoltre che il gruppo «non è sempre stato pienamente collaborativo: ha tardato a produrre prove rilevanti e non ha intrapreso azioni correttive tempestive e appropriate per quanto riguarda la disciplina di alcuni dipendenti coinvolti nella cattiva condotta. Sebbene Glencore abbia intrapreso azioni correttive, alcuni dei miglioramenti di conformità sono nuovi e non sono stati completamente implementati o testati per dimostrare che preverranno e rileveranno simili comportamenti scorretti in futuro, rendendo necessaria la nomina di un monitor di conformità indipendente per tre anni».
Dopo avere risolto i contenziosi negli USA e in Brasile (corruzione alla società parapubblica Petrobras), Glencore ha annunciato che si dichiarerà colpevole anche nel Regno Unito. L’indagine britannica ha come obiettivo la Glencore UK Ltd e la sua controllata Glencore Energy (UK) Ltd e concerne casi di corruzione legata al commercio di petrolio in Camerun, Guinea Equatoriale, Costa d’Avorio e Sud Sudan. Il Serius Fraude Office dovrebbe comunicare la sanzione il prossimo 21 di giugno. Restano aperte ancora le inchieste penali in Olanda e in Svizzera, dove la multinazionale è direttamente sotto indagine da parte del Ministero pubblico della Confederazione (MPC) proprio nell’ambito delle concessioni minerarie ottenute in Congo.
L’inchiesta prevista “in casa propria” sembra preoccupare meno Glencore. La multa massima in Svizzera per l’articolo 102 del codice penale, quello che prevede la condanna di un’impresa che per carente organizzazione interna non ha potuto impedire reati quali la corruzione o il riciclaggio è di solo 5 milioni di franchi. Una bazzeccola a cui certo si può aggiungere un risarcimento più cospicuo sottoforma di confisca dell’utile conseguito illecitamente. L’eventuale sanzione elvetica sarà, con ogni probabilità, irrisoria rispetto a quanto pagato negli USA. Multa americana che, anch’essa, va tuttavia contestualizzata come ha fatto Javier Blas, giornalista di Bloomberg: dati gli attuali alti prezzi del petrolio, Glencore probabilmente guadagnerà una cifra analoga nei prossimi sei mesi.
Fatto è che con l’ammissione di colpevolezza, Glencore mette fine alla scomoda procedura americana (e brasiliana). Può così dichiarare di non essere più la società brutta e cattiva che era quando si sono verificate «le pratiche inaccettabili alla base di questa cattiva condotta». Il futuro ci dirà se qualcosa è davvero cambiato. Per ora nelle sue prese di posizione emerge un’assenza: l’assenza totale di scuse verso le vere vittime di questa cultura della corruzione. Ossia le popolazioni di Paesi spesso poverissimi, seduti su un tesoro di materie prime che finisce, però, per ingrassare solo lontane multinazionali, avidi dirigenti occidentali e politici locali. A loro, alle vittime, non resta nulla. Neanche la multa: quella, se la intascano gli americani. A comandare son pur sempre loro.
Nell’immagine: pellet di nickel prodotti dalla Glencore
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Quanto credo di aver capito del politico ma soprattutto dell’uomo poco conosciuto