La cicatrice dorata

La cicatrice dorata

L’ultimo discorso di Boas Erez e il futuro dell’USI


Pietro Montorfani
Pietro Montorfani
La cicatrice dorata

Complice il fulmineo allontanamento del rettore, cui lo scorso 22 aprile sono state concesse solo due settimane per svuotare la scrivania nella proverbiale scatola di cartone, sabato mattina all’USI c’era il pubblico delle grandi occasioni e un’atmosfera di curiosità attenta e partecipe. Il 26esimo Dies Academicus dell’università ticinese non poteva essere infatti come tutti gli altri, nonostante gli sforzi compiuti dai principali attori per contenere al massimo lo scandalo, mettendo la sordina all’inevitabile effetto di novità e di frustrazione.

Se è vero che i simboli hanno un peso, tanto più all’interno di istituzioni che si inseriscono in una storia secolare, l’ingresso trionfale di Boas Erez in aula magna con tanto di collana rettorale – un oggetto mai visto prima di ieri in riva al Ceresio – seguito da alcuni omologhi di atenei svizzeri e stranieri, pure ingioiellati e alcuni persino togati, non poteva che ribadire l’importanza di un ruolo che nelle ultime settimane è stato in parte depotenziato. Indipendentemente dai punti di vista, e senza voler scadere in una banale interpretazione in termini di giochi di potere, è innegabile che la presidenza del Consiglio abbia avuto la meglio sulla direzione del Rettorato (il CdA ha “vinto” sul CEO, per tradurla in brutale lessico manageriale) e ricordare ai presenti il prestigio della figura apicale del mondo accademico ha rappresentato, per l’oramai ex-rettore, un’elegante quanto significativa uscita di scena.

E significativo è stato tutto il lungo intervento di Boas Erez dedicato al Ruolo dell’università, un tema scelto da tempo che ha finito per diventare una sorta di testamento dei suoi sei anni di rettorato, nonché una risposta indiretta alle incomprensioni degli ultimi mesi. Da persona non sempre a suo agio dietro il microfono, Erez ha stupito per la scioltezza e la profondità del suo argomentare, attraversando questioni cruciali del nostro tempo come l’(in)affidabilità della scienza e la pervasività della tecnologia, richiamando alla mente dei presenti l’intero spettro delle ambizioni e delle responsabilità che sono insite nell’istituzione universitaria. Il suo è stato un intervento da intellettuale puro, che non teme di usare termini quali “verità” e “realtà” e che sa leggere criticamente le questioni con cui si confrontano quotidianamente docenti e studenti. Un uomo capace di visioni, che al termine del suo discorso si è meritato una spontanea standing ovation – tra le file, filtravano commenti del tipo “però è peccato perdere un rettore così”. All’indirizzo della Presidente Monica Duca Widmer, per chi l’ha saputa cogliere, è stata lasciata cadere da Erez soltanto una velata allusione al controllo esercitato dal Consiglio dell’USI sulla sua attività e sulla sua persona, cui non sarebbe corrisposta un’adeguata check list (il contre-rôle, il contro-registro suggerito dall’etimologia francese). I patti, sembrerebbe di capire ancora una volta, non erano chiari, o perlomeno non lo erano per entrambi i fronti.

Oggi l’Università della Svizzera italiana è un po’ come il vaso di ceramica del XVI secolo, di proprietà della collezione Montgomery, esposto per l’occasione in una teca in bella mostra a pochi metri dal palco: una cicatrice dorata, solida per quanto attiene ai numeri delle facoltà, degli istituti e degli studenti (mai così tanti), eppure lacerata nel profondo a causa di una decisione che ancora si fatica a comprendere in tutte le sue implicazioni. Le interviste concesse in giornata da Erez alla RSI hanno lasciato trapelare, grazie alla ferma ma dolce insistenza di Chiara Nacaroglu e Giorgia Roggiani, qualche nuovo dato: su tutti il fatto che il “consenso” sia stato solo sull’interruzione della collaborazione, non però sui tempi. Stringere i denti e pazientare non è forse un’abitudine nelle corde della Presidente del Consiglio; o forse, chissà, lo ha fatto anche troppo e la situazione, sul piano strettamente amministrativo, era davvero così seria e bisognosa di un intervento drastico ed immediato. Se è così, un supplemento di spiegazioni a favore della popolazione ticinese, magari anche per voce del ministro cantonale della pubblica educazione, o della commissione parlamentare di controllo, sarebbe auspicabile. Anche soltanto per ripartire con rinnovato slancio. L’università – era uno dei punti cardine dell’intervento di Erez – è fiducia, e questa fiducia va oggi in parte ricostruita.

Immagine dal servizio della RSI

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