Calcio, calci e botte da orbi: il pubblico è tornato negli stadi
Fra una variante e l’altra del virus tornano in scena anche gli effetti del tifo
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Fra una variante e l’altra del virus tornano in scena anche gli effetti del tifo
Proprio mentre le incognite sull’immediato futuro della situazione sanitaria riemergono con il conseguente strascico di incognite e con la progressiva radicalizzazione dei fronti pro e no vax, in uno dei contesti maggiormente colpiti dalle misure restrittive e coercitive, quello sportivo, in queste settimane si sta assistendo, quasi un po’ paradossalmente o incoerentemente, alla riapertura (a geometria variabile) di stadi ed impianti.
Lo sport, insomma, torna ad essere quello che è, che è sempre stato e che dev’essere: una pratica pubblica, fatta per il pubblico, con il pubblico: fatta di pubblico. I vari maneggi della dirigenza calcistica internazionale, insieme alle allarmanti situazioni economiche delle maggiori squadre di calcio, per esempio, hanno messo in secondo piano, in questi mesi di chiusura degli stadi ai tifosi, quello che, non senza retorica, è stato ribadito essere un principio fondante del calcio stesso: “uno sport del popolo”.
Nei maggiori campionati calcistici europei, che hanno da poco iniziato la nuova stagione, si assiste in vario modo al ritorno del pubblico negli stadi: finalmente, si è detto e si dice, il calcio torna a poter contare su quella che non è solo una “cornice” di appassionati o estimatori, ma può ben dirsi parte costitutiva delle diverse società, fatta di persone che fin dall’infanzia coltivano una cosiddetta “passione sportiva”, non solo nella pratica di una o l’altra disciplina, ma nel farsi sostenitore convinto ed acceso di un club, insomma “un tifoso”.
Lo sono anch’io, non lo nascondo e credo sia opportuno non nasconderlo scrivendo qui di quanto ho visto nel recente week-end su due campi di calcio che “finalmente” sono tornati ad aprirsi al pubblico. Come ogni tifoso che si rispetti, mi accendo, mi arrabbio, esulto, sul divano di casa o seduto in tribuna, per le prestazioni della squadra del cuore. E tutto finisce lì.
Quello del tifo sportivo (che ha nella designazione tutta italiana appunto di “tifo” una valenza di “malattia” che non di rado si è manifestata nella storia calcistica e non solo) è un aspetto sociale e di psicologia sociale ampiamente studiato su cui non ho certo nulla da aggiungere.
Dell’importanza del pubblico a supporto della propria squadra preferita si è pure detto sempre molto, fino a designare, un’altra volta non senza retorica, tale presenza come quella del “dodicesimo uomo” di una formazione calcistica.
Ma questo dodicesimo uomo, nella storia, ne ha anche fatte di cotte e di crude, in nome del senso di appartenenza, della passione, dello statuto di “avente diritto” poiché abbonato o membro di gruppi organizzati.
Ce n’eravamo un po’ scordati, in un anno e mezzo di scialbe partite senza pubblico, in cui negli stadi e dagli stadi nel televisore di casa, hanno echeggiato urla, strepiti, insulti, bestemmie dei 22 in campo e dei non meno assatanati comprimari seduti in panchina, tutti in preda a trance agonistica amplificata dal desolante silenzio circostante.
Ci eravamo scordati che tutto quell’armamentario di virile aggressività agonistica, ha nel pubblico, soprattutto in quello delle cosiddette “curve”, una sua espressione all’ennesima potenza, che si traduce in canti e incitamenti a sostegno della squadra, certo, ma anche in frizzi, lazzi, ingiurie, improperi, slogan e turpiloquio a scena aperta.
E così, appunto nel week-end abbiamo ritrovato quel “calore” del pubblico di cui non solo il calcio o lo sport, ma la società in generale, farebbe volentieri a meno, che sulla carta, anzi, si vorrebbe bandito, e che nell’anonimato di una curva da stadio trova invece le valvole di sfogo più tristi.
A San Gallo si è giocata la partita di Superleague svizzera fra la squadra locale ed il Sion. È finita 1-1, proprio all’ultimo minuto, con il pareggio dei vallesani. Ma non è finita lì. Forse per la rabbia, la frustrazione, chissà? (di scuse ce ne sono sempre tante a portata di mano), la curva dei padroni di casa, assiepata dietro il portiere ospite, ha cominciato ad insultarlo e a rivolgergli epiteti (e suoni) di ogni genere perché… è di colore. Tim Fayulu, svizzero-congolese, non ci ha più visto, ha risposto ai tifosi per poi cedere ad un pianto dirotto; e da lì è partita una bagarre che ha coinvolto giocatori, panchine e dirigenze.
Sul sito RSI sport si può vedere in tutti i dettagli l’indecoroso spettacolo andato in scena a San Gallo, ma merita una particolare attenzione il documento filmato che propone l’intervista post-partita a Nicolas Lüchinger, autore del gol del San Gallo, interrotta da Serey Dié, centrocampista ivoriano del Sion che chiede semplicemente di dire “basta” ad ogni forma di razzismo dicendosi orgoglioso del colore della sua pelle. Ed il sangallese Lüchinger che gli dice: “Guardami, guarda il mio colore, anche mia mamma è nera!” Da mostrare, non solo alle scuole calcio. Ovunque.
Altro fronte, altro campionato: siamo in Francia, a Nizza, per il derby del sud fra i rossoneri locali e “l’odiato” Olympique Marsiglia. Stadio colmo, circa 35 mila spettatori, tutto esaurito, benché occorressero le attestazioni sanitarie obbligatorie per entrare. Ma era da troppo tempo che il pubblico non poteva assistere ad un tale evento; all’Allianz Riviera, lo stadio di Nizza, si tornava alla normalità.
Sin dai primi minuti, dietro la porta occupata nel primo tempo dal portiere marsigliese, è stato tutto un festival del lancio di bottigliette di bibite in campo da parte degli ultras del Nizza. Nel secondo tempo, da quelle parti il Marsiglia si trova poi ad attaccare, specie dopo aver subito l’1-0 dei padroni di casa. Ennesimo corner per il Marsiglia, che va a battere Dimitri Payet, una delle star della squadra. E giù un’altra pioggia di PET, a cui il giocatore non ha retto, cominciando a rigettare le bottigliette verso il pubblico. E da lì la scena ha dell’incredibile: il pubblico della curva invade il campo iniziando una caccia all’avversario da brividi.
Botte da orbi, e da vergogna, profonda vergogna, per un club di Ligue 1 che non sa assicurare minimamente la sicurezza di un tale evento, con un presidente, l’elegante e distinto Jean-Pierre Rivière, che per ben due volte va dai capi-ultras per “trattare” sulla ripresa del gioco, soluzione che la Federazione Francese accoglie, l’arbitro accetta e impone (dopo un’ora e mezza di assurdo caos) con la sola squadra locale in campo. I giocatori del Marsiglia, fra cui due feriti nelle colluttazioni, non accettano di riprendere a giocare e dunque l’incontro, formalmente termina con la vittoria a tavolino del Nizza.
Naturalmente è già stata aperta un’inchiesta, ed il Marsiglia ha tutta l’intenzione di rivendicare i propri diritti ed i tre punti della vittoria a tavolino, mentre dal versante Nizza si dà la colpa ai giocatori marsigliesi che hanno avuto il torto di reagire nei confronti del pubblico.
Il quotidiano sportivo parigino “L’équipe” titola lunedì mattina: “Insupportable”, con una foto a piena pagina degli scontri fra tifosi e giocatori in campo. Certo, che questo genere di supporter sia insopportabile è il meno che si possa dire, ma non lo è da meno il teatrino di scuse e pretesti che il “sistema calcio” mette in scena ogni volta per giustificare questo genere di sostenitori, che sono per lo più delinquenti comuni (o appartenenti alla criminalità organizzata). Frange estreme, per carità, ma da lungo tempo un vero problema per le società calcistiche che dopo il fenomeno degli hooligans britannici “regolato” con pugno di ferro dal governo Thatcher negli anni ’80, pareva essere sufficientemente sotto controllo.
Già negli scorsi anni, comunque, molto si è detto e scritto, in Italia per esempio, sulla collusione fra dirigenze calcistiche e tifo organizzato. Forse il COVID, con le conseguenti chiusure degli stadi, ha messo la sordina a questa vera e seria questione, che ora si ripresenta, forse addirittura esacerbata da una sensazione di esasperazione sociale legata alla vita “al tempo della pandemia”.
Ma oggi, “al tempo della collera” una vaccinazione contro il tifo, questo tipo di tifo, quando sarà imposta?
Bisogna resistere all’idea che questa guerra sia irrisolvibile, e agire di conseguenze: anche come cittadini
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