Profughi afghani, emozione e cinismo
Per tenere alla larga i rifugiati i paesi europei chiedono di accoglierli agli stati confinanti con l'Afghanistan
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Per tenere alla larga i rifugiati i paesi europei chiedono di accoglierli agli stati confinanti con l'Afghanistan
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Per tenere alla larga i rifugiati i paesi europei chiedono di accoglierli agli stati confinanti con l'Afghanistan
E, allora, perché dovremmo prenderceli proprio noi? Il Consiglio federale manda alle ortiche l’orgoglio della sua ‘tradizione umanitaria’; subito avverte che non accoglierà gruppi di fuggiaschi; fa orecchio da mercante nei confronti di tre città che offrono la loro disponibilità a una più generosa accoglienza (Zurigo, Berna, Ginevra). Si esibisce fermissima preoccupazione per i pericoli umanitari, e lacrime asciuttissime. Solidarietà a parole, cinismo nei fatti. Si deve così ricorrere ad una raccolta nazionale di firme per tentare di scuotere la calcolata passività bernese. Del resto, dal vecchio continente gli afghani in cerca di rifugio già venivano spesso costretti al rimpatrio. Dopo la pausa causa Covid, da dicembre scorso, s’è ripreso con le espulsioni. In Svizzera, il giorno prima della caduta di Kabul, c’erano 2. 800 afgani in attesa di risposta per la richiesta d’asilo, ma in 130 erano già sulle liste del ritorno obbligato nell’Afghanistan per loro, per i fuggiaschi, considerato sicuro. Una palese menzogna, oltre il 70 per cento del territorio era già nelle mani degli ‘studenti coranici’, e infatti sull’apposito sito dei vari ministeri degli esteri europei si raccomandava di non recarsi in Afghanistan, paese a rischio. Così fino alla presa di Kabul, quando i rimpatri sono stati sospesi (ma ‘temporaneamente’, per carità).
C’è tutto questo dietro la vuota politica dell’automatica indignazione politica, dei moniti altisonanti, delle vuote raccomandazioni. Stavamo costruendo un Stato libero e non potevano essere dei disperati fuggiaschi a rovinarci l’immaginaria narrazione. Quindi che se ne tornassero da dove erano venuti. Del resto, facciamo un’ipotesi. Immaginiamo che l’America e i suoi alleati ci avessero risparmiato questa vergogna, organizzato con il dovuto anticipo a un ritiro ordinato, e trasferito nei loro paesi anche più di centomila fra collaboratori di ambasciata, personale delle ONG, donne impegnate nella scuola, nel sociale o nell’informazione. Alla scadenza del 31 agosto, data ultima concordata col nemico per l’evacuazione, cosa sarebbe accaduto? Non avremmo assistito alla stessa disperazione, allo stesso caos, allo stesso terrore? Ma la retorica fa sempre comodo alla politica quando c’è poco altro.
Commento pubblicato il 24 agosto da laRegione Ticino
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