Cattiva politica, cattiva retorica
Alla ricerca della credibilità perduta, tra il garrire di bandiere e i flonflon del 1° agosto
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Alla ricerca della credibilità perduta, tra il garrire di bandiere e i flonflon del 1° agosto
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Alla ricerca della credibilità perduta, tra il garrire di bandiere e i flonflon del 1° agosto
La retorica nei discorsi e negli articoli di stampa in occasione della celebrazione agostana è pari all’attuale pochezza dei contenuti.
Partiamo dal valletto, assurto alla presidenza dell’UDC per meriti famigliari altrui e per propria malleabilità. Nella quotidiana ansiosa ricerca di un nemico contro cui scagliare i propri strali, allo scopo di (tentare di) scaldare le sue truppe al calor bianco, ha trovato di nuovo come obiettivo l’azienda di servizio pubblico radiotelevisivo, accusata di non assicurare presenza e idonea copertura mediatica al suo epocale intervento a Sonvico. Tra salve di urrà dei sostenitori (pochi? tanti? quanti? per colpa dell’ignavia della RSI non lo sapremo mai…) ha pensato di usare il solito argomento vecchio come il cucco, il per lui acclarato sinistrismo dell’ente e i costi del personale e dell’azienda tutta, per concludere che la RSI è un’autentica schifezza e che si impegnerà con la forza delle sue elveticissime sinapsi per diminuire i mezzi finanziari a disposizione dell’ente. Non contento, il Nostro ha fatto una tirata neo-agraria e ruralista contro le città, colpevoli di non votare l’UDC, o almeno di non plebiscitaria, come lui vorrebbe. Vagheggiamenti di un’Elvezia contadina e dei modelli patriarcali dei nostri avi, scrigno intatto in cui custodire i valori udicini; ma un sogno ad occhi aperti che fa dubitare che costui viva davvero qui e ora, e non sia stato invece teletrasportato dalle antiche terre di Thor o di William Wallace (nelle quali sarebbe peraltro campato ben poco, con quel fisico poco allenato, gli occhi buoni, e senza gli amici grigionesi a fargli usbergo), o sbarcato da Marte, e in entrambi i casi incapace di cogliere i motivi veri del perdurante successo del modello elvetico. Quindi, al netto della cavolata anti-urbana, siamo alle solite banali chiamate alle armi che scalderanno qualche etilico e già incazzoso auditorio, ma non faranno fare nemmeno un millimetrico passo in avanti al partitino cantonale, né avranno effetti sulle sorti un po’ alterne di quello federale. La Famiglia deve cercare qualcosa di meglio da far dire al suo cameriere.
Arriviamo alla simpatica municipale luganese, che doveva però aspettarseli, i fischi che si è beccata: non solo perché erano stra-annunciati sui social, ma anche perché dovrebbe ormai sapere di meritarseli un po’. Nel bailamme della piazza è riuscita comunque a fare una scivolata, e quella l’abbiamo sentita bene; e cioè a dire che i fischi e le contestazioni non sono le premesse migliori per il dialogo, come se lo fossero invece la notturna e indebita demolizione, lo sfregio ai principi banali della legalità da parte dell’ente pubblico, e la vertiginosa serie di balle che ci ammannirono i municipali dopo la demolizione suddetta. Qualcuno ha pensato di sostenere che lei ha piena legittimità perché non è oggetto di procedura, e ancor meno condannata; come se bastasse questo per sdoganare politicamente, e assolvere, certi comportamenti che invece richiederebbero – banalmente – qualche scusa e qualche marcia indietro.
Per chiudere, l’articolessa del presidente liberale, persona pur capace di pensiero logico e organizzato, che ha in sostanza detto che la Svizzera non deve chiedere scusa a nessuno, che è il miglior posto del mondo, che il suo passato è bello e mondo da ogni possibile peccato; e che nessuno è stato obbligato a venirci, come dire che quello che abbiamo ce lo saremmo anche benissimo fatti da soli, senza apporti da (né sostegni di) nessuno, quindi nemmeno ringraziare alcuno siamo costretti a fare. Per poi dire che gli attentati a questo straordinario, immacolato e (potenzialmente) autocratico idillio provengono dagli estremi, sempre per accreditarsi in quel luogo magico che si ritiene assai a torto essere il Centro; e per poi citare ad esempio di estremismo solo i giovinastri che osarono – supremo oltraggio – varcare e lordare le sacre soglie di una banca, o coloro che del nostro passato e del nostro presente hanno una visione obnubilata dall’esercizio di critico spirito. Lasciamo da parte quanto questa “narrazione”, che si inserisce in un progetto più generale, liquidi allegramente non solo un passato ma anche una serie di valori e di ideali, e con essi anche una parte non trascurabile del movimento liberale; come ci dimostrano altri interventi, siamo però di fronte al solito modo di fare politica ricalcandola su quanto è riuscito bene ad altri, sperando che gli elettori siano incantati dalla fotocopia e abbandonino l’originale.
Insomma, nel momento del trionfo della pessima ma scusabile retorica patriottarda, zuccherosa e anche po’ stolida, anche la politica nostrana ha pensato bene di mostrare la propria faccia, e non è un bel vedere; il fatto è che per noi poveri umani l’estasi e l’ubriacatura retorica indotte dalla festa nazionale durano un giorno, e poi ripassiamo a cose serie e vere, mentre per il costoso (quello sì, in tutti i sensi) circo politico-partitico esse permangono, diventando purtroppo cifra del messaggio politico.
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