Il bel Ticino di Ajla e Noè
Sino a che punto Ajla Del Ponte e Noè Ponti ci rappresentano?
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Sino a che punto Ajla Del Ponte e Noè Ponti ci rappresentano?
La relazione fra prodezza sportiva individuale e Paese, spesso sfruttata da satrapi autoritari, ma anche dagli eletti “democratici” in cerca di tornaconto personale, non è facile da dimostrare: il rischio di cadere nella retorica è alto. Sia Ajla che Noè hanno avuto un’educazione nelle nostre scuole e hanno usufruito del Centro Nazionale di Tenero che permette di abbinare sport e studio.
Ma sino a che punto il loro carattere, che si è rivelato formidabile, è frutto di una “cultura” locale? Ci soccorre in questo senso l’esperienza vissuta in 40 anni passati per ragioni professionali a contatto con i giovani sportivi ticinesi.
In questo senso ci sembra di poter dire che c’è stata una grande evoluzione, innescata da due formidabili protagoniste come l’indimenticabile Doris De Agostini e Michela Figini. Sono uscite dagli steccati regional-nostrani grazie a una straordinaria forza di volontà, Doris specialmente, vero esempio di perseveranza e intelligenza partendo da basi abbastanza comuni. Michela era maggiormente dotata di talento puro. È chiaro che chi ha successo nello sport sovente ha un carattere egocentrico, spigoloso. È un primo passo nell’evoluzione della specie.
Ma in seguito non è strettamente necessario. Flavia Rigamonti, sul podio diverse volte ai Mondiali e agli Europei, quarta nei 1500m alle Olimpiadi del 2000, a sua volta egocentrica il necessario, ha vissuto altre vite, come Doris e Michela.
Queste precorritrici, non a caso donne, avevano qualcosa da dimostrare, proprio perché donne, cresciute in una società che tendeva a metterle sotto tutela, o semmai a tollerare con sufficienza la loro volontà di emergere: spesso con una arrière-pensée: lasciamole fare, andranno a sbattere…
Troppe volte i nostri talenti non ce l’hanno fatta per mancanza di volontà e convinzione, per lacune caratteriali; In questo senso, Noè e Ajla rappresentano l’evoluzione darwiniana della specie sportiva “ticinensis”?
Può darsi; ce lo auguriamo. Intanto entrambi sono molto consci delle loro possibilità, conoscono la società e il contesto in cui agiscono. Dunque possono crescere, come persone e come potenziali campioni con la calma dei forti, con un certo distacco. Studiano ad alto livello, di conseguenza affinano le loro armi, vedono il mondo da altri punti di vista che non siano quelli forzatamente limitati della propria disciplina.
Né Ajla né Noè, per esempio, sono presi dalla scimmiesca cultura dell’immagine: di fronte alla telecamera ai blocchi di partenza, non si abbandonano all’esibizionismo, ai lazzi e all’egocentrismo infantile di chi segnala il proprio nome sul pettorale, o mostra i muscoli, di chi alza le dita al Cielo, in qualche caso anche in modo minaccioso: “Signore guarda giù, sennò mi arrabbio”.
Ajla, madre bosniaca e papà ticinese, è imperturbabile: partendo da un 11”07 debutta con un 10 e 91, primato svizzero, continua qualificandosi direttamente per la finale in 11”01 dove si piazza quinta in 10”97. Le giamaicane sono lontane. Probabilmente Ajla dovrà passare ai 200 metri, la sua partenza è insufficiente per i 100: fra tre anni a Parigi può andare sul podio. Il suo fisico è “costruito” con un lavoro intelligente che ne ha aumentato la potenza senza penalizzare troppo la reattività e la scioltezza muscolare.
La sua capacità di autoanalisi è notevole. Ora, con un po’ di fortuna, può puntare subito al bronzo nella 4 per 100.
Noè, che debutta a 20 anni a un Olimpiade e fa un bronzo migliorando due volte il primato svizzero (50”76/50”74) è paragonabile a un porcino di un chilo spuntato a fine ottobre fra un tiglio e una betulla (non propriamente adatti), evidentemente in segreta simbiosi con le radici di un faggio, di un castagno, di una quercia o di un peccio in escursione sotterranea. La coscienza di sé stesso è impressionante, come la fondamentale capacità di pianificare la stagione per arrivare al massimo della forma al momento giusto: Ajla e Noè in questo senso rappresentano un progresso impressionante non solo nella storia dello sport ticinese, sovente piagnucoloso, ma anche nella storia dello sport svizzero: non eravamo stati noi a coniare il termine “turismo olimpico?”. Certo, spesso i nostri, ottenuto il limite necessario, ritenevano di aver raggiunto la meta, adagiandosi sul traguardo minimo raggiunto.
Interessante anche il modo di porsi dei due, di Noè specialmente: quando si concede agli intervistatori dà l’impressione di una leggera ironia, di non prendere troppo sul serio né se stesso, né l’intervistatore. Pratica l’inglese “understatment”, vola basso a parole mentre è in procinto di spiccare altri (alti) voli. Noé è un predestinato, ed è solo all’inizio, Inshallah, a Dio piacendo. Perché non si sa mai cosa può succedere. Magari si innamora di qualche attrice da telenovela e scappa in Messico. Ora, catturato da un’ università americana, faccia attenzione ai “medici”;
Noè è classe pura, il suo fisico è del tutto naturale, normale. Qualche “praticone” lo potrebbe riempire di pasticche gonfia-muscoli. Che li mandi a quel Paese e prosegua per la sua strada: fra tre anni a Parigi lo porta dritto al podio, e non una sola volta. A proposito: il Ticino è terra di porcini, anche fuori stagione. Noè “enfant du pays”?. Ci rappresenta? Perché no? I nostri boschi sono ricchi di radici di ogni genere.
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