C’era una volta la democrazia
A proposito della Demoman International (DI), società di hackeraggio israeliana che agisce con il nome in codice di Team Jorge, per manipolare elezioni e referendum in tutto il mondo
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A proposito della Demoman International (DI), società di hackeraggio israeliana che agisce con il nome in codice di Team Jorge, per manipolare elezioni e referendum in tutto il mondo
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A proposito della Demoman International (DI), società di hackeraggio israeliana che agisce con il nome in codice di Team Jorge, per manipolare elezioni e referendum in tutto il mondo
C’era una volta, in un paese lontano lontano… la democrazia. Certo, la democrazia non è mai esistita nella realtà vera – era una favola e come tutte le favole è una finzione, però era/è una bellissima favola – e sempre è stata assoggettata a un controllo e a un governo eteronomo da parte di oligarchie, classi dominanti, complessi militari-industriali-tecnologici, élite, eccetera eccetera. Il liberalismo e la borghesia hanno sempre negato la vera democrazia che pure invocavano per sé (ma non per gli altri) e il marxismo altrettanto, anche se una fine marxista come Rosa Luxemburg scriveva: “nessuna democrazia senza socialismo, nessun socialismo senza democrazia”.
La democrazia è forse un’utopia, fatta per essere continuamente tradita, ma questo è appunto il suo fascino, che però comporta anche una sua continua e doverosa manutenzione da parte del demos, dei cittadini. E come è stato detto – Churchill – “la democrazia è la peggiore forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”. Ma è anche vero che oggi, priva di manutenzione, la democrazia – e molto più di ieri – è sotto attacco da parte di nuovi poteri forti/oligarchici/anti-democratici, come quelli della finanza e della tecnologia; e da parte di vecchi poteri forti/oligarchici mai sconfitti, quelli del complesso militare industriale occidentale che oggi vuole una guerra più grande in Ucraina e spinge per una sua escalation, nonostante il capo di stato maggiore dell’esercito statunitense, generale Mark Milley continui a ripetere che, a un anno dall’invasione russa, non c’è soluzione militare al conflitto.
Così confermandosi anche oggi ciò che scriveva la filosofa Simone Weil cento anni fa, cioè che “così come il capitale moltiplica gli scambi e la ricerca del profitto [oggi diciamo globalizzazione], così il potere militare moltiplica le guerre” – e oggi siamo nella terza guerra mondiale, come dice papa Francesco, sicuramente a pezzi, ma anche quasi totale. Perché, sempre Simone Weil, “per il potere economico si tratta assai meno di costruire che di conquistare; e poiché la conquista è distruttrice, il capitalismo si orienta interamente verso la distruzione”, come è oggi ancor più evidente con la crisi climatica e con il nuovo colonialismo praticato anche dalle cosiddette democrazie per accaparrarsi le risorse naturali, dal cobalto alle terre rare, necessarie per far funzionare, facendo crescenti profitti, le ultime due forme storiche – fino ad ora – di capitalismo, quello digitale e quello della sorveglianza di massa.
Ma soprattutto, si pone il problema del conflitto strutturale tra democrazia e tecnologia. Perché quella rete che si era offerta (ma erano solo propaganda e marketing) come libera e democratica in sé – insieme al neoliberalismo che vuole trasformare la società in mercato, quindi negando la democrazia pur sostenendo che solo il mercato è la vera democrazia – oggi si dimostra essere il pericolo maggiore proprio per la libertà individuale e la democrazia: e non solo perché siamo tutti spiati h24 da imprese industriali/commerciali per il loro profitto privato (oltre che dagli Stati), molto peggio che nei totalitarismi novecenteschi, ma perché oggi il mondo è governato da multinazionali che riescono anche a fare a meno dello stato, governando esse stesse la vita di miliardi di persone attraverso quella che abbiamo chiamato la digitalizzazione delle masse – oppure lo fanno cercando alleati nella politica, come nel famoso caso Cambridge Analytica/Facebook alle elezioni americane – manipolate digitalmente – del 2016.
Lo conferma una notizia di qualche giorno fa, ultima di una lunga serie, così raccontata dal giornalista Michele Giorgio: “Dopo la NSO, creatrice del famigerato spyware Pegasus impiegato da dittature e governi autoritari [ma non solo] per spiare oppositori, dissidenti e giornalisti, ieri è stata smascherata un’altra società israeliana accusata di pirateria informatica, la Demoman International (DI). A guidarla è Tal Hanan […]. Agisce con il nome in codice di Team Jorge […]. Incassa tra 400mila e 600mila dollari al mese per fare disinformazione automatizzata e influenzare, cioè manipolare, elezioni e referendum in tutto il mondo. […] Tal Hanan, illustrando ed esaltando le capacità della sua azienda, ha detto di ‘essere intervenuto in 33 campagne elettorali a livello presidenziale’, dal Kenya alla Catalogna. Di queste, “27 sono state un successo’”. Ovvero, i brogli elettorali sono anch’essi digitalizzati e questa tecnologia, essendo capitalista, è distruttiva (Weil, vedi sopra) per sua essenza; così come la democrazia, che viene sottoposta alle leggi distruttive del mercato, dove basta pagare e della democrazia stessa viene negato addirittura il fondamento.
Storia antica, si dirà – ed è vero, verissimo. I brogli elettorali non sono una novità. Ed è appena scoppiato lo scandalo delle lobby al Parlamento europeo, ma tutti i parlamenti sono soggetti al potere delle lobby (anche questa è una vecchia storia), Svizzera compresa, Stati Uniti su tutti. Quegli Stati Uniti che sono la più falsa e la più ipocrita delle democrazie; che denunciano la Russia per avere commesso crimini contro l’umanità in Ucraina (tutto vero, giustissimo giudicare Putin come criminale, lo abbiamo scritto fin dal primo giorno di guerra), dimenticando quelli commessi dagli Usa per i suoi interessi in giro per il mondo; e questo, insieme perseguitando Julian Assange reo di avere esercitato il sacrosanto diritto/dovere democratico alla libertà di parola e di espressione e senza il quale non conosceremmo i crimini contro l’umanità commessi dagli Usa.
Alle lobby, alle industrie, alla finanza e alla tecnica – quella tecnica che, basandosi sul calcolo oggi algoritmico e sulla sua presunzione di esattezza nonché sulla velocità di innovazione tende appunto a fare a meno della democrazia sempre troppo lenta e quindi la considera un intralcio alla massimizzazione del profitto (quindi la rimuove o la espropria o dice di essere esso stesso calcolo, la migliore forma di democrazia) – aggiungiamo i populismi e i sovranismi e le democrature e gli autoritarismi (tutte forme di neoliberalismo, ma perseguito con altri mezzi): Orban, Meloni, Trump, Putin, ieri Bolsonaro, la teocratico-populista-razzista-colonialista Israele, la Corte suprema americana, in Svizzera l’Udc, eccetera – che sono altri modi con cui, democraticamente, si svuota la democrazia e quello stato di diritto che ne è parte costitutiva, sempre in nome di interessi di parte (il capitale).
Ovvero, anche il demos, che pure fonda la demo-crazia, a volte ama suicidarsi, come scriveva il filosofo e psicoanalista Erich Fromm (pochi lo ricordano, ma per molti anni aveva vissuto a Muralto, dove poi era morto nel 1980) nel suo magistrale saggio Fuga dalla libertà; ma come, molto prima, scriveva, anche se in un altro contesto, Etienne de la Boétie (detto Boezio) nel suo Discorso sulla servitù volontaria, alla metà del Cinquecento.
Insomma, la democrazia è sì la migliore forma di governo esistente/esistita (ma neppure quella greca era una vera democrazia), ma oggi sta decisamente male. Svuotata ed espropriata sempre più da tecnologia, finanza, industria, populismi, lobby, oligarchie/élite/tecnocrazie, mercati; ma soprattutto da noi stessi, che lasciamo fare.
Nell’immagine: il termine “democrazia” (democracy) visualizzato dall’intelligenza artificiale del software Crayon
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