Una città di tegole e di opportunità
Aspettando la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, le speranze e le preoccupazioni per quanto saprà fare Lugano per rendere l’evento davvero un’occasione di svolta. Anche per la città
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Aspettando la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, le speranze e le preoccupazioni per quanto saprà fare Lugano per rendere l’evento davvero un’occasione di svolta. Anche per la città
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Lugano come Yalta? L’annunciata conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Ucraina prevista il 4-5 luglio in riva al Ceresio, attorno alla quale si infittiscono giorno dopo giorno indiscrezioni e dettagli, riporterà in Ticino il proverbiale quarto d’ora di celebrità, risvegliando nel contempo la lunga tradizione di neutralità e accoglienza che si radica almeno nei Patti di Locarno del 1925, per chi non voglia risalire sino all’epoca risorgimentale. A Yalta nel febbraio del 1945 erano scesi in campo i pesi massimi (Churchill, Roosevelt, Stalin, non però il criminale che aveva iniziato tutto e che già meditava di togliere il disturbo) ben intenzionati a ridisegnare assieme il futuro dell’Europa dopo la catastrofe. A Lugano nel luglio del 2022, si parva licet componere magnis, verranno verosimilmente le seconde linee, i vice, i segretari di Stato, ma non per questo l’evento potrà essere minimizzato.
Prima dello scoppio della guerra, in alcuni uffici dell’amministrazione comunale si era guardato all’arrivo di Zelensky come alla classica Peppa Tencia da gestire con il minor danno possibile, anche per l’insolita abitudine del presidente-attore di portarsi appresso l’offerta di tradurre in ucraino le audioguide dei musei cittadini, per maggior gioia della popolazione russofona (che a Lugano certo non manca). Quello che pareva il vezzo di un nazionalismo linguistico ottocentesco si è rivelato in tutta la sua drammatica consistenza la notte del 24 febbraio, al momento dell’invasione. Sono oramai passati tre mesi e da allora, sullo slancio dell’emotività, tradurremmo in ucraino anche i nomi dei nostri figli.
L’onda lunga della tragedia in corso non ha tardato infatti a toccare i nostri lidi, se è vero che sin dai primi giorni di guerra hanno iniziato a comparire qui e là targhe ucraine, sovente apposte a veicoli di cilindrate tali da mettere in dubbio la comune definizione di “profugo”, mentre le prime bandiere gialle e azzurre venivano stese sui balconi della collina di Castagnola. Per la prima volta ci siamo accorti che un buon numero di coloro che ritenevamo genericamente “russi” erano in realtà ucraini, transnistriani, georgiani, azeri, e via con tutti i colori dell’arcobaleno ex-sovietico.
Quale che sia l’evoluzione delle prossime settimane, è innegabile che anche grazie al summit di luglio il mondo tornerà a soffiare come un’onda impetuosa tra le montagne del nostro piccolo golfo, portando quella ventata di ricchezza culturale e di varietà sociale che sempre si accompagna ai movimenti delle popolazioni. Sa il cielo quanto la nostra timida e sonnacchiosa provincia, timorosa di ritrovarsi costretta a gestire una nuova “tegola” (per riprendere una simpatica espressione del Consigliere di Stato Claudio Zali), ha bisogno di queste opportunità di crescita e di scambio.
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