Come Israele aiutò la nascita di Hamas
In questa storia vi è anche un cieco calcolo strategico di Israele, che oggi si rivela catastrofico
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In questa storia vi è anche un cieco calcolo strategico di Israele, che oggi si rivela catastrofico
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Storico e giornalista, ex commentatore apprezzato del quotidiano Ha’aretz, l’israeliano Tom Segev dice tutto il male possibile di Hamas e del ‘fanatismo’ delle frange estremiste palestinesi, ma afferma anche, in un’intervista all’amico Lorenzo Cremonese (Corriere della sera di oggi), qualcosa di difficilmente contestabile: “Netanyahu ci aveva fatto credere che si potevano annettere i territori occupati nel 1967 senza troppi problemi, e ora ne paghiamo le conseguenze: però la sua politica di dividere i moderati dell’OLP di Abu Mazen (ndr: presidente dell’Autorità palestinese) a beneficio invece dei fanatici di Hamas, alla fine paga”. Sì, paga alla sua strategia. Purtroppo, possiamo aggiungere, nel modo peggiore: con altre morti, altre distruzioni, l’accresciuta capacità offensiva dei jihadisti al potere a Gaza, il rischio di una ‘terza Intifada armata’, e con una novità assoluta nei settant’anni di storia israeliana: i violenti scontri inter-comunitari, quindi fra civili arabi e israeliani, e inter-religiosi, fra musulmani ed ebrei, avvenuti in diverse città a popolazione mista dello Stato ebraico.
Così, un calcolo politico assolutamente miope s’è trasformato in un disastro politico. La destra-destra che da un ventennio guida Israele, convinta di poter realizzare il sogno biblico-annessionista di Heretz Israel – del Grande Israele, quindi col dominio su tutti i territori occupati – ha agito seguendo una convinzione ideologico-strategica che ha prodotto anche questo disastro. Prevedibile baratro che Yitzhak Rabin aveva cercato di scongiurare avviando l’ormai svuotato ‘processo di Oslo” : “Dobbiamo negoziare la pace come se non esistesse il terrorismo, e dobbiamo combattere il terrorismo come se non ci fossero i negoziati di pace”, predicava il premier assassinato da un ragazzo ebreo ultra-ortodosso; Rabin, l’ ex ministro della difesa che aveva represso con durezza la prima rivolta degli Anni Ottanta in Cisgiordania, ma che ebbe anche il coraggio di affermare ‘se fossi un giovane palestinese farei l’Intifada’.
Abbiamo più volte detto degli errori e della pochezza della leadership palestinese. Che contribuì a spalancare – prima elettoralmente, poi nella pratica militare – le porte di Gaza ad Hamas e della Jihad Islamica, che la governano ormai dal 2006. Ma anche nella nascita del movimento islamista palestinese vi fu un altro clamoroso errore tattico-strategico di Israele. I cui dirigenti, pur di indebolire l’OLP, lasciarono che nella Striscia – allora occupata in armi – i seguaci dei Fratelli Musulmani si organizzassero, aprendo scuole, centri medici, mense, tutto gratuito, e tutto molto redditizio come come resa politica. L’indiretto sostegno israeliano alla crescita islamica a Gaza – il primo a documentarla fu lo storico Tony Codersman, analista per il MO del Center for Strategic Studies – era basato sulla convinzione che le moschee avrebbero fatto concorrenza e indebolito lo schieramento laico guidato da Yasser Arafat. Un calcolo rivelatosi tragicamente fallimentare. Dalla moschea alle armi il passaggio è stato rapido, brusco, inevitabile.
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