Gaudin se ne va, lo scandalo Crypto resta
Dimissioni, credibilità elvetica, e crittografia taroccata
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Dimissioni, credibilità elvetica, e crittografia taroccata
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Dimissioni, credibilità elvetica, e crittografia taroccata
“Gaudin, chi era costui?”: il motto del parroco viene alla mente, apprendendo l’identità del direttore del Servizio delle attività informative della Confederazione, proprio al momento in cui se ne va. Come si dice sempre, in questi casi, lascia il posto “per cogliere una nuova sfida nel settore privato”. Era stato criticato, ma non al punto di perdere il posto, in un rapporto della Delegazione delle Commissioni della gestione, a proposito di come aveva approcciato il caso Crypto; insomma, sapeva tutto, ma ha taciuto. Non era però il solo, e mettere in croce Gaudin ha permesso di mandare assolti altri personaggi, di superiore calibro.
Una buona occasione questa per dare notizia agli assenti, e per ricordare agli smemorati e soprattutto a coloro (Consiglio federale e Camere in testa) che vogliono far dimenticare, una delle vicende più assurde e sporche della nostra storia recente.
Il caso era scoppiato a inizio dell’anno scorso, con un’indagine giornalistica (Washington Post, SRF, ZDF) a scoperchiare la pentola. La società Crypto di Zugo, leader mondiale nel settore delle macchine da crittografia (quelle che servono per mandare messaggi cifrati, per capirci) era stata acquistata nel 1970 dalla CIA e dai servizi segreti tedeschi attraverso una fondazione in Liechtenstein, la collaborazione tra la società e questi servizi di spionaggio era però ben precedente l’acquisizione; per il tipo di attività di Crypto, la presa di controllo non ha potuto avvenire se non con l’accordo di Berna, sempre che si voglia essere clementi ed escludere l’ipotesi di avere incompetenti nella sala dei bottoni. Crypto vendette per decenni le proprie macchine, con il label di serietà del made in Switzerland, a oltre cento Paesi, che le usarono per criptare e per scambiare le proprie notizie riservate.
Gli è che, con l’accordo degli azionisti (non si sa se anche con quello del SIC pre-Gaudin), queste macchine furono taroccate in modo da permettere a Crypto (e ai suoi proprietari) di decodificare e di acquisire le informazioni scambiate fra le autorità dei vari clienti-Paesi; centinaia di migliaia di comunicazioni fra organi governativi, ambasciate e unità militari. I tedeschi avrebbero lasciato Crypto nel 1993, mentre la CIA andò avanti almeno fino al 2018.
La vicenda è, a volerla leggere con onestà, un tremendo colpo alla credibilità internazionale della Svizzera; è anche un colpo per l’affidabilità e per l’immagine delle nostre istituzioni. È già grave che, proprio grazie alla fiducia che il mondo ripone(va) nella Svizzera, si siano potute vendere apparecchiature taroccate, che hanno permesso a servizi segreti esteri di sapere i segreti di coloro che si erano fidati di noi. È forse ancora più grave che si sia accettato che un’azienda di importanza vitale fosse venduta a servizi segreti esteri; è addirittura scandaloso che le nostre più alte istituzioni (il sigaraio Villiger, e non solo) fossero al corrente del supremo inganno perpetrato ai danni del mondo per il tramite di un’azienda elvetica, e che abbiano accettato/tollerato che l’inganno proseguisse per anni.
E poi: in che misura vi è stato un travaso di informazioni confidenziali dai servizi segreti americani/tedeschi ad attori economici ad essi vicini nell’ambito di procedure di concorso e di aggiudicazione di commesse pubbliche e nella stipula di accordi internazionali? Si pensi ai concorsi per l’acquisto di materiale bellico o altri contratti strategici, ma non solo. Il furto di informazioni, oltre a fornire dati sensibili sul fronte della sicurezza, può avere distorto in modo significativo la concorrenza internazionale, favorendo entità pubbliche o private che hanno beneficiato delle informazioni carpite tramite i prodotti Crypto taroccati.
Ebbene, era stato nominato un esperto terzo, cui non fu permesso di lavorare (gli fu negato l’accesso alle informazioni, né più né meno) e che fu subito messo da parte; è possibile che non si accontentasse di assicurazioni verbali o che non volesse redigere pareri di comodo, non lo sapremo mai. La politica federale diede prova di grande ipocrisia, minimizzando, negando e legittimando; il breve dibattito alle Camere fu allucinante per opacità, sottovalutazione e malafede.
Ricordo una puntata di Falò, con da una parte il focolarino militarista Marco Romano impegnato a mettere coperchi sulle pentole (o a negarne addirittura l’esistenza); dall’altra Dick Marty, hombre vertical con grande statura morale e con un prestigio e una credibilità internazionali che Romano non avrà nemmeno in mille anni. Ricordo anche l’imbarazzata intervista riparatrice che Sacha Zala, responsabile dei documenti diplomatici svizzeri, fu evidentemente costretto a rilasciare al TG al suo omonimo, e nella quale smentiva il se stesso di qualche giorno prima a Falò, e dichiarava che in fondo era tutto a posto e che non era successo nulla; con la sgradevole sensazione che si fosse di fronte al primo passo per fondare una narrazione storica alternativa e negazionista.
Approfondire con onestà la questione Crypto mi pare ancora essenziale, sia per leggere il passato in modo corretto e completo, sia come ammaestramento per il futuro. Sappiamo bene che la classe politica svizzera è quello che è (direi che le gesta di Parmelin e di Cassis sono piuttosto istruttive in proposito), e che ai vertici delle istituzioni approdano spesso coloro che, per insipienza o per pigrizia, hanno fallito altrove o non ci hanno neppure provato. Ma lascia interdetti il grave deficit a livello etico, lo scarso senso dello Stato, il disprezzo dei valori elvetici, che questa vicenda dimostra. Alcuni possono ringraziare che la polvere del tempo si sia depositata su queste azioni; altri il fatto triste che noi elettori siamo gente senza memoria.
Comunque, a tutti i livelli, una bella schifezza, che ringrazio la partenza di Gaudin di aver permesso di far uscire per un attimo dall’oblio in cui si è voluto metterla.
Non basterà questa domenica di voto per far luce su un quadro politico finito nel Porto delle Nebbie