Comunali, per i partiti lucciole o lanterne?
L'esito delle elezioni non costituisce un placet per una politica e per partiti in cerca di identità
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L'esito delle elezioni non costituisce un placet per una politica e per partiti in cerca di identità
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L'esito delle elezioni non costituisce un placet per una politica e per partiti in cerca di identità
I primi commenti all’esito delle Comunali segnalano puntualmente partiti vincenti e sconfitti, utilizzando seggi acquisiti o persi per spedire in paradiso liberali, sinistra e liste civiche, e all’inferno i democristiani e (un po’ meno) la destra sovranista. Poi, il successo delle schede senza intestazione, che è quello del disincanto: in un sistema partitocratico, sono schede che contano numericamente assai poco ma segnalano con forza (a chi lo vuole vedere) l’esistenza di un malessere e l’urgenza di una riflessione all’interno dei partiti, sempre meno considerati come veicoli di idealità e di progetti. Infine, una (inattesa, per me) tenuta generale della partecipazione, anche grazie al voto per corrispondenza e al maggior tempo avuto per esercitarlo in epoca di semiconfinamento.
Non vi erano molti dubbi sul fatto che, a Lugano, la corazzata Lombardi avrebbe fatto giustizia delle ragionevoli speranze della giovane collega di partito, difficile salutare come novità (o con soddisfazione) il rinnovato approdo di questo reaparecido, epitome e rappresentante dei dinosauri della politica; per gli altri eletti, una sostituzione che lascia ben sperare e una serie di fotocopie, alcune francamente disperanti e foriere di quadriennali miserie e di perdurante imbarazzo. Negli altri comuni, si replica con i soliti noti sullo sfondo appunto di una generale perdita di velocità dei democristiani, che si sono da tempo venduti l’anima sociale e se ne sono cucita addosso una da catto-imprenditore o da soldatino dell’economia di mercato, senza pietà e senza compassione; salvati appunto in corner (o meglio: di transenna) da un vecchio routinier. Nuova entrata verde a Locarno, ma non a Lugano. E poi: le donne non arrivano neppure al venti per cento degli eletti, una pena e piccolo scandalo nonché vergogna, per chi non le vota ma soprattutto per quelli che non le ritengono degne di figurare in lista.
Sappiamo bene che la logica che presiede alle elezioni comunali è assai diversa da quella che regge le altre elezioni; qui la componente personale è fondamentale, la quotidiana vicinanza e qualche minima clientela, la capacità di essere (o almeno di vendersi come) concreti, l’approccio giusto a problemi reali e magari la loro soluzione. La politica partitica, le idee di società e i programmi vi rivestono quindi un ruolo tutto sommato ancillare, e questo al netto dei legami e delle consuetudini famigliari; pare quindi poco opportuno che – dalle stanze dei bottoni cantonali – i sedicenti “vincitori” di queste comunali si inorgogliscano troppo dei risultati o li considerino come una promozione sul campo, financo un viatico popolare per proseguire nel terreno battuto. Non si illudano: i partiti hanno un gravissimo deficit a livello di visioni e di progetti, quindi di capacità di prospettare il futuro e di darsi strumenti adeguati a poterlo realizzare; una mancanza cui si accompagna l’assenza crudele di una classe politica in grado di farsi le domande giuste (anche su se stessa) e, a fortiori, di trovare le risposte che servono. E, diciamolo chiaramente e in generale, questo è un grave vulnus e un problema, per la società e per il nostro modello di convivenza: la società democratiche hanno un bisogno fondamentale di riflessioni di ampio respiro, di idee vere, e di persone che le mettano in pratica. In questo contesto, i partiti hanno un ruolo fondamentale di camere di riflessione, di luogo di scambio e di dialettica, ancor di più in un momento di crisi come questo, in cui è richiesto il meglio degli sforzi intellettuali e politici per trovare le soluzioni che si impongono.
Diffiderei quindi dal considerare l’esito delle elezioni comunali un giudizio dell’elettorato (in termini di seggi guadagnati o persi) sui partiti e sulle idee di cui essi devono essere portatori. Pur lasciando da parte l’effetto delle schede senza intestazione, che già relativizza un poco il ruolo dei partiti, una simile considerazione costituirebbe una pericolosa illusione ottica, buona per confermare alcuni nella convinzione di essere nel giusto, o che la riflessione profonda (identitaria, progettuale) non sia, oggi come l’altroieri, urgente ed essenziale per il futuro loro e nostro.
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