Cultura aziendale e mandato di servizio pubblico alla SSR, un binomio ottimale?
Con l'organizzazione attuale la SSR può ancora rifarsi ai valori che i cittadini hanno difeso votando contro la NoBillag?
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Con l'organizzazione attuale la SSR può ancora rifarsi ai valori che i cittadini hanno difeso votando contro la NoBillag?
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Con l'organizzazione attuale la SSR può ancora rifarsi ai valori che i cittadini hanno difeso votando contro la NoBillag?
Nel caso della SSR SRG, gli anni Novanta possono essere considerati uno snodo importante, sia per i cambiamenti mediatici e tecnologici (l’espansione della rete informatica), sia per l’affermarsi di un’ideologia mercatista e risparmista tesa a diminuire il ruolo dello Stato, sia ancora per l’affermarsi di un individualismo spinto, che cambia, moltiplicandoli, anche i modi di consumo. Si affacciano da questo momento nuovi paesaggi mediatici e, anche, un nuovo modo di interpretare il loro ruolo dal punto di vista politico, più trasversale alle forze partitiche di quello che si tende ad ammettere; si veda ad esempio lo slittamento semantico del termine di servizio pubblico, “servizio di interesse economico generale”, nell’ambito dell’Unione Europea.
Tornando alla SSR, sono i cambiamenti scaturiti da questo periodo storico che ne cambiano l’assetto. Dagli anni Novanta, infatti, la SSR abbandona la maggior parte degli elementi di ente a gestione orizzontale a favore di un sistema più verticale e managerializzato. Il Consiglio federale (anche attraverso la LRTV del 1992) richiede all’ente di rivedere a fondo le strutture verso l’aziendalizzazione, dando così il via a una serie di rivoluzioni strutturali, basate su una visione di New Public Management. Questa visione sembra continuare inalterata fino ai nostri giorni, sostenuta dalla riforma delle amministrazioni federale e cantonali, definita Amministrazione 2000. All’inizio degli anni 2000, la SSR si trasforma in un una società che crea delle unità organizzative autonome (holding), chiamate a offrire servizi centralizzati in regime di concorrenza (con la fatturazione interna dei servizi, ad esempio).
Nel 2004, le Autorità federali spingono la SSR verso un sistema concorrenziale, una parte del canone va a finanziare le emittenti private, mentre il 20% del fabbisogno deve essere ricavato dalla pubblicità. Questo significa, in altre parole, considerare prioritarie le esigenze del mercato e di conseguenza adeguare i programmi, in un contesto in cui il clima politico non è favorevole a tutelare la natura di servizio pubblico della SSR, favorendo la pressione delle lobbie di altri gruppi mediatici. Si pensi alla recente decisione del parlamento sulla limitazione dell’utilizzo di internet da parte dell’azienda radiotelevisiva.
Nel 2008, il Controllo federale delle finanze orienta la SSR verso un nuovo riassetto strutturale, che si traduce in una forte centralizzazione, nella quale i direttori regionali sono direttamente e esclusivamente subordinati al direttore generale.
Malgrado la centralizzazione, è continuata la moltiplicazione dei livelli gerarchici – ne è un esempio la RSI – mentre continuano i tagli dei posti di lavoro, l’esternalizzazione di segmenti di produzione e la precarizzazione di forza lavoro, ad esempio i molti tecnici.
Insomma, all’interno della SSR, la lezione politica è stata ben assimilata e non sembra esserci particolare interesse per le forme emergenti di governance pubblica e di responsabilità sociale dell’impresa, che potrebbero attenuare questa gestione verticistica, opaca e non priva di tensioni interne.
Forse si possono ricondurre a queste modalità farraginose i diversi abbandoni della barca SRF da parte di non pochi specialisti, tra cui il responsabile del progetto SRF 2024. Non è da escludere una mancanza di chiarezza nelle strategie, così come l’assenza di coinvolgimento del personale nei cambiamenti, più volte evocata negli ultimi tempi.
Se negli ultimi decenni, il mondo politico ha richiesto importanti risparmi, di fatto indebolendo il servizio pubblico radiotelevisivo, lo stesso sembra essersi disinteressato della gestione della SSR. Lo rilevano la mozione del Consigliere nazionale Christian Lohr e l’iniziativa parlamentare del Consigliere agli Stati Carlo Sommaruga, che – in modi diversi – richiedono un controllo esterno e pubblico dell’azienda, anche in ambiti come quello dei progetti immobiliari.
Le interpretazioni di questa situazione generale possono essere beninteso diverse, ma se si considerano le risposte del Consiglio federale alla mozione Lohr e all’interpellanza della Consigliera agli Stati Marina Carobbio sul futuro di Rete Due e della cultura alla SSR direi che per il mondo politico va tutto bene.
È però lecito essere meno ottimisti, in particolare se si tiene conto che nel 2022 verrà ridiscusso il mandato di servizio pubblico. Un mandato di servizio pubblico che sembra chiaro nei suoi contorni e particolarmente dettagliato e che si rivela invece essere ampiamente interpretabile. Del resto, le esternazioni di Gilles Marchand, subito dopo la bocciatura dell’iniziativa No Billag nel 2018 non lasciavano spazio a dubbi. In fondo, la campagna contro la No Billag sembra essere stata una semplice parentesi – discorsiva – rosa in una visione budgetaria, manageriale e poco trasparente di tale mandato.
A questo punto, c’è da chiedersi se con una struttura come questa una radiotelevisione di servizio pubblico possa ancora rifarsi ai valori forti contenuti nel suo mandato e che riguardano il suo ruolo sociale. Chiederselo è urgente, poiché l’opera di smantellamento, in corso da tempo, è a uno stadio avanzato.
Testo pubblicato su LaRegione del 2 aprile 2021
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