Dante e l’attacco che non c’è stato
Un grande studioso tedesco viene accusato di aver denigrato il poeta; non è vero, ma Salvini e Meloni...
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Si afferma invece (per un articolo scritto sul Frankfurter Rundschau nel settimo centenario della morte del poeta) che stavolta lo ha volgarmente infangato. E, automaticamente, con lui ha offeso l’intero genio italico (sempre dato per indiscutibile). Fiumi di articoli di riprovazione e condanna. Reazioni sommarie e infuriate. Social avvelenati. E naturalmente l’immediata mobilitazione dei due vocianti cantori del nazionalismo militante, la Meloni e il Salvini, forse perché, con Draghi premier, meglio dedicarsi a un bersaglio meno ostico ed indigesto. Invece, cosa si scopre pochi giorni dopo? Che il ‘perfido teutonico’ in realtà non ha scritto una sola frase di quelle che gli vengono attribuite. Non ha mai definito Dante un plagiatore, o che sia stato uno spregiudicato arrivista, o ancora che fosse ‘anni luce indietro’ rispetto a Shakespeare, oppure che l’Italia non ha proprio nulla da festeggiare. Sostiene invece, il Widman, che Dante si situa nel solco di diverse tradizioni di poetica in volgare, ma riconosce che la fa ‘lievitare’. Dunque, non lo sminuisce affatto. Preciserà anzi che si tratta del più grande esempio di poeta in esilio, “e la parte migliore della letteratura europea, da Ovidio in poi, è stata creata in esilio”.
Ma nonostante la clamorosa e provata infondatezza delle accuse nessuno degli scatenati denigratori fa ammenda, nessuno gli chiede scusa. Men che meno i “primanostristi” della Penisola. A cui basta una dichiarazione o un tweet falsissimi nella sostanza, l’importante è aver suscitato l’automatica e scomposta indignazione “delle masse”. E allora avanti con altri bersagli. In definitiva basta gonfiare con venti velenosi le vele della più bassa e volgare propaganda politica.
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