Cultura e teatro popolare: il mondo di Vittorio Barino
In ricordo del grande regista teatrale e televisivo, scomparso ieri all’età di 87 anni
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In ricordo del grande regista teatrale e televisivo, scomparso ieri all’età di 87 anni
Lo spazio della scena, fosse essa teatrale o televisiva, lui lo dominava; al suo posto di regista, come fosse un direttore d’orchestra, chiedeva il massimo ai suoi attori, ma era capace anche di riconoscere momenti, situazioni, in cui occorreva che lui, di corsa, al volo, ci mettesse tutto l’estro ed il mestiere, per limare, sistemare, correggere, far filare liscia una produzione. Era capace, Vittorio Barino, di lasciare in attesa il cast di una sua commedia perché lui, in ufficio, doveva riscrivere la scena che sembrava non reggere, e che invece doveva assolutamente funzionare.
Il suo lavoro autoriale e di regista era, se così si può dire, di alto valore artigianale. Era colto, Barino, e conosceva innumerevoli testi classici della storia del teatro, ma non aveva nessun problema a mettere quella sua cultura a disposizione di testi, magari mutuati dalla tradizione ottocentesca francese, che traduceva in spettacoli dialettali divenuti celeberrimi, dirigendo attori che sono diventati, con lui, dei veri mattatori della scena regionale svizzero-italiana, o forse più propriamente lombarda.
Mariuccia Medici, Quirino Rossi, Sandra Zanchi, Yor Milano, Diego Gaffuri e tanti altri, plasmati dalle sue esigentissime mani registiche, hanno contribuito a dar vita alla sua personale maniera di raccontare al territorio storie in cui ci si potesse riconoscere, che sapevano dire di noi, a volte, quanto un trattato o uno studio.
E poi, magari, si scopriva che Barino era stato anche quello che era cresciuto registicamente a contatto con grandi mattatori della scena italiana, che la RSI (allora TSI) sapeva allettare con produzioni teatrali originali: basti pensare a nomi come Ugo Pagliai, Paola Gassmann, Rossano Brazzi, Mario Carotenuto, Erminio Macario, per non dire di una quasi debuttante Raffaella Carrà.
Si pensi a produzioni come, “Il terzo invitato” (1977), “L’elemento D” (1981), “Segreto di Famiglia” (1987). E poi, sul versante più regionale, a “La Röda la gira” (1990), “Il Voltamarsina” (1991), e “La maestra di Muzzano” (1997).
Il lato più autenticamente artigianale del lavoro di Barino, nel senso più nobile del termine, lo si trova comunque nella sua inesauribile e instancabile vena brillante, in testi che vòlti al dialetto per opera anche della duttile Martha Fraccaroli, hanno consegnato alla storia del nostro teatro televisivo, dopo la stagione di Sergio Genni e delle sue produzioni impegnate, una ventata di puro divertimento, in una leggerezza mai volgare o sciocca, ma a suo modo “elegante”.
Nella difficilissima arte di far convivere qualità e popolarità, Barino ha saputo dare del suo meglio anche nel produrre e realizzare eventi televisivi passati alla storia, come le serate di San Silvestro, per esempio, che televisivamente lo vedevano impegnato come regista della commedia dialettale in diretta e poi del successivo spettacolo di fine anno.
Parlare del lavoro, dell’opera e del ruolo di Barino a poche ore dalla sua scomparsa è davvero particolarmente arduo, forse anche, e forse ancor più, perché umanamente non amava assolutamente mettersi in mostra, parlare di sé, essere lui il protagonista; era un ruolo che lasciava ai suoi amati attori, quelli che rimproverava incessantemente nelle prove, che mandava a cambiarsi perché vestiti improvvidamente con un indumento viola; quelli che dimenticavano le battute e lui si imbufaliva fino al punto che a tutti veniva da ridere e lui, intanto, faceva sparire le caramelle, messe lì da chissà chi, con la consapevolezza che l’avrebbero presto “addolcito”. Nel delicato e complesso rapporto regista-attori, nella sua forse timidezza, Barino sapeva anche essere severo, ma poi riconoscente verso i propri amati attori, quelli che per anni gli sono stati fedeli interpreti.
Vittorio Barino pareva davvero non fermarsi mai. Dopo gli anni passati a dirigere il dipartimento prosa e spettacolo della RSI, giunto il momento della pensione, non si è certo messo a riposo, ma ha continuato a proporre testi e regie, a stimolare produzioni, a lavorare lui stesso, ancora, come autore e regista per produzioni internazionali, sulla scorta della sua indubbia fama, che l’aveva già portato ad essere regista, nell’89, di una celeberrima serie europea dedicata al ladro gentiluomo Arsenio Lupin.
Vittorio Barino, con circospezione ma con disponibilità, era anche uomo capace di concedersi alle amicizie, alle richieste di aiuto o di consigli di attori o colleghi. Fra i suoi amici vi è stato per esempio, un altro personaggio tutt’altro che facile, Piero Chiara, con cui Barino realizzò (vera e propria impresa epocale) una prima “riduzione televisiva” di un racconto, girato naturalmente a Luino e diffuso dalla TSI nel lontano 1971 con il titolo “I capitani, forse”, il primo film a colori prodotto dalla nostra televisione pubblica.
Per un programma dedicato al centenario della nascita di Piero Chiara, ormai quasi 10 anni fa, avevo provato a “stanare” Vittorio dal suo rifugio di pensionato, e dal suo riserbo, che gli era sempre stato proprio. Mi ha dato appuntamento in un bar di Chiasso, ma in un angolo discosto, dove non ci potesse vedere o sentire nessuno. Dopo dieci minuti mi dice: “io di sicuro non voglio apparire nel vostro programma, non mi piace, ma ho ancora le diapositive del tournage di quel film, le vuoi?” Ovviamente mai mi sarei immaginato tanto e gli dico subito di sì con entusiasmo. Poi gli chiedo, provocandolo: “Ma Vittorio, come fai adesso a stare senza lavorare?” E lui: ”Ma chi ti ha detto che non lavoro più. Settimana scorsa ero al porto di Genova per dirigere la seconda unità di una produzione tedesca”. Ed io: ”Una produzione tedesca? E di che si tratta? Cosa fai?” Lui, sornione: ”Faccio saltare in aria qualche container in una scena d’azione, niente di che, ma mi diverto”. Vittorio Barino era, anche, l’uomo che faceva saltare in aria i container. E si è divertito. E ci ha divertito, per decenni. Glielo dobbiamo per sempre.
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