Il giornalismo non è un crimine. Cinque grandi testate in difesa di Julian Assange
New York Times, Guardian, Le Monde, Der Spiegel ed El País a favore di Assange e di una precisa idea di libertà di stampa
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New York Times, Guardian, Le Monde, Der Spiegel ed El País a favore di Assange e di una precisa idea di libertà di stampa
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New York Times, Guardian, Le Monde, Der Spiegel ed El País a favore di Assange e di una precisa idea di libertà di stampa
Mentre si attende ancora di sapere se il governo britannico concederà o meno l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale rimane alta sul caso. Questa settimana è arrivata un’importante lettera aperta firmata dalle redazioni e dagli editori di quelle testate internazionali che, 12 anni fa, hanno collaborato con WikiLeaks nel pubblicare materiale proveniente dal “Cablegate”. Si tratta di Guardian, New York Times, Le Monde, Der Spiegel ed El País.
Quelle rivelazioni, provenienti dai 250mila documenti forniti ad Assange dall’allora soldato Chelsea Manning, sono al centro del caso giudiziario senza precedenti che riguarda il fondatore di WikiLeaks, detenuto dal 2019 in un carcere di massima sicurezza. Prima di quella data, Assange ha trascorso sette anni confinato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra.
L’appello delle cinque testate è rivolto al presidente americano Joe Biden, e chiede che le accuse contro Assange vengano ritirate. Biden era vicepresidente degli Stati Uniti all’epoca dei fatti contestati. Dal 2019 Assange è accusato di spionaggio in base all’Espionage Act, una legge americana del 1917. Attualmente la richiesta di estradizione è ferma poiché gli avvocati di Assange hanno presentato ricorso contro il trasferimento deciso ad agosto dall’allora ministra dell’Interno britannica Priti Patel.
Pubblicare non è un crimine: Il governo degli Stati Uniti dovrebbe deporre le accuse nei confronti di Julian Assange per aver pubblicato informazioni segrete.
Dodici anni fa, il 28 novembre 2010, le nostre cinque testate internazionali – New York Times, Guardian, Le Monde, El País e Der Spiegel – hanno pubblicato una serie di rivelazioni in collaborazione con WikiLeaks che hanno fatto il giro del mondo.
Il “Cablegate”, un insieme di 251.000 cablogrammi riservati del Dipartimento di Stato americano, ha rivelato corruzione, scandali diplomatici e affari di spionaggio su scala internazionale.
Secondo le parole del New York Times, i documenti hanno raccontato “la nuda verità su come il governo prende le sue decisioni più importanti, quelle che costano di più al paese in termini di vite e denaro”. Ancora oggi, nel 2022, giornalisti e storici continuano a pubblicare nuove rivelazioni, sfruttando l’eccezionale patrimonio di documenti.
Per Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, la pubblicazione del “Cablegate” e di diverse altri leak correlati ha avuto le conseguenze più gravi. Il 12 aprile 2019, Assange è stato arrestato a Londra su mandato di cattura degli Stati Uniti ed è ora detenuto da tre anni e mezzo in un carcere britannico di massima sicurezza solitamente utilizzato per i terroristi e i membri di gruppi di criminalità organizzata. Rischia l’estradizione negli Stati Uniti e una condanna fino a 175 anni in un carcere americano di massima sicurezza.
Questo gruppo di redattori ed editori, che hanno tutti lavorato con Assange, ha sentito il bisogno di criticare pubblicamente la sua condotta nel 2011, quando sono state diffuse copie non redatte dei cablogrammi. Alcuni di noi sono preoccupati per l’accusa, contenuta negli atti, di aver tentato di favorire l’intrusione informatica in una banca dati classificata. Ma ora ci riuniamo per esprimere le nostre gravi preoccupazioni riguardo all’azione penale nei confronti di Julian Assange per aver ottenuto e pubblicato materiale classificato.
L’amministrazione Obama-Biden, in carica durante la pubblicazione di WikiLeaks nel 2010, si è astenuta dall’incriminare Assange, spiegando che avrebbe dovuto incriminare anche i giornalisti delle principali testate. La loro posizione dava importanza alla libertà di stampa, nonostante le scomode conseguenze. Sotto Donald Trump, tuttavia, la posizione è cambiata. Il Dipartimento di Giustizia si è basato su una vecchia legge, l’Espionage Act del 1917 (concepito per perseguire potenziali spie durante la prima guerra mondiale), che non è mai stata utilizzata per perseguire un editore o una testata.
Questa incriminazione costituisce un pericoloso precedente, minaccia di minare il primo emendamento americano e la libertà di stampa. Ottenere e divulgare informazioni sensibili quando è necessario nell’interesse pubblico è una parte fondamentale del lavoro quotidiano dei giornalisti. Se questo lavoro viene criminalizzato, il nostro discorso pubblico e le nostre democrazie si indeboliscono notevolmente.
Dodici anni dopo la pubblicazione del “Cablegate”, è ora che il governo degli Stati Uniti ponga fine all’azione penale contro Julian Assange per la pubblicazione di informazioni segrete. Pubblicare non è un crimine.
I redattori e gli editori di The New York Times, The Guardian, Le Monde, Der Spiegel, El País
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