Dialoghi interrotti, dialoghi mancati
Nel mondo della libertà di contrapporsi, demolire o costruire rotture
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Nel mondo della libertà di contrapporsi, demolire o costruire rotture
E infatti è così. Potersi pronunciare liberamente è un bene inalienabile, che ci distingue da società totalitarie e oscurantiste, che negano questo diritto fondamentale, o lo consentono solo nella misura in cui rifletta quel che si vuole che venga detto, e prima ancora pensato.
Insomma, un pensiero libero, opposto ad un pensiero assente, o imprigionato, allineato alla volontà di chi comanda e pensa per tutti. Un pensiero “democratico”, che in quanto tale cresce e si sviluppa debitamente attraverso l’accesso agli strumenti di conoscenza, il fecondo confronto con posizioni ed opinioni diverse, il dialogo, che sin dall’antichità, ha costituito una modalità essenziale dell’apprendimento e della formazione di ogni “personalità”.
Tante belle parole, tanti bei concetti, che sbandieriamo regolarmente come acquisiti ed inscalfibili, a tal punto che in nome loro ci lanciamo in dibattiti accesissimi che mostrano quanto siamo liberi di pensare e di discutere; in loro nome ci tuffiamo nel brulicante ed urticante contesto della comunicazione sociale, finché tutto quel dire e ribadire non diventa una sorta di brusìo indistinto da cui si emerge soltanto “impugnando” posizioni forti, chiare, nette, indiscutibili.
Così, nella contrapposizione all’atroce realtà della guerra di Putin, per esempio, il “fronte occidentale” si manifesta al proprio interno nelle forme più diverse ed estremizzate, quasi fosse fatale che da una fonte incendiaria come quella che ha generato l’ ennesimo crudele conflitto, non possano conseguire che ulteriori conflitti, anche nelle idee, anche nel modo di pensare fra chi parrebbe comunque stare, di principio, dalla stessa parte.
Il dialogo diventa confronto serrato e intransigente, arriva a trasformarsi in una contrapposizione monologante di giudizi (o pregiudizi) perentori e divisivi, anche dentro lo stesso contesto di una società che si vorrebbe “aperta”. Se sotto i regimi totalitari si può pensare e dire solo in un modo, nelle nostre democrazie i modi finiscono per essere due, fatti di pro e di contro. E alla fine, non di rado, resta una “chiusura” nei confronti di ogni posizione diversa, alternativa, magari solo un po’ più sfumata: no, le sfumature complicano soltanto i discorsi che la prassi comunicativa corrente vuole per forza controversi fino all’incomunicabilità.
Certo, non è facile concepire come fruttuoso ogni tipo di confronto; venendo ad un contesto ben diverso, può apparire tutt’altro che scontato, ad esempio, rapportarsi a fenomeni di “antagonismo sociale” qual è, per definizione, l’esperienza dell’autogestione.
Eppure, anche qui, per riprendere i termini dell’intervento in Naufraghi/e di Mattea David, la contrapposizione si fa estrema, il confronto si trasforma in una discussione fra sordi, una giustapposizione di monologhi, dove naturalmente a preoccupare maggiormente resta la claudicante narrazione dei fatti esibita dall’autorità, quella che dovrebbe rappresentare virtuosamente la cittadinanza, la comunità.
E merita senz’altro la dovuta attenzione l’analisi che in proposito ha proposto su “laRegione” il suo direttore Daniel Ritzer, che inscrive l’incapacità del Municipio luganese ad affrontare conflitti e divergenze nel contesto di una preoccupante difficoltà della città a diventare tale, con tanto di C maiuscola, a tutti gli effetti. Perché è in gioco, appunto, l’idea di comunità e di una sua gestione non fondata su presupposti di chiusura verso il diverso, il non conforme, il non omologato. Anche qui, la modalità ricorrente per interpellare l’opinione pubblica è quella del “Controcorrente” radiofonico di lunedì 30 maggio su Rete Uno: siete pro o siete contro? E vai con il sondaggio Instagram.
Ma anche quella che può definirsi, appunto, “realtà antagonista”, forte, se vogliamo dir così, di una storia ormai ultraventennale, pare in grado, oggi, solo di parlare a sé stessa e di dichiarare, per esempio, in un proprio “comunicato”, che ora si tratta di tornare a “costruire rotture a riprendersi spazi a costruire territori altri.” Costruire rotture? Cioè? Non facile, per i non addetti, i non inseriti, i non militanti, intravvedervi un discorso davvero “politico”, accessibile, condivisibile, che possa costituire un’alternativa vera al discutibile modello di “socialità” e di “cultura” perseguito dall’esecutivo.
Mondi monologanti, appunto, per dirla ancora con Mattea David, non solo fra “le parti”, ma anche fra le costanti singole esternazioni, come quella, la più recente, della Municipale Cristina Zanini Barzaghi al “CdT” del 28.5., che butta là l’idea di far tornare gli autogestiti – ovvero i “brozzoni” del suo collega Quadri – in un’altra ala dell’ex-Macello!
Ognuno dice la sua, e poi se la dimentica, anche perché non l’ha detta per farla capire, o per entrare in contatto e in dialogo: l’ha detta, punto e basta, fino a domani, quando ognuno, a Lugano, dirà la sua a proposito della Conferenza sull’Ucraina, dopo aver più o meno sbertucciato il nostro Ministro degli Esteri e Presidente della Confederazione per il fatto che… parla solo per sé.
È tristemente paradossale constatare, una volta di più, che con tutte le “libertà” di cui disponiamo, nel nome delle quali combattiamo i regimi e le dittature, finiamo poi anche noi per imprigionarci, liberamente, nella negazione di quelle libertà, privilegiando ciò che ci distingue rispetto a ciò che ci accomuna; smettiamo troppo presto di pensare che le idee possano anche essere messe proficuamente in comune non solo con chi sappiamo che la pensa come noi. Come monadi continuiamo pervicacemente a “costruire rotture”.
Le tattiche per neutralizzare le iniziative scomode sono sempre le stesse. Funzioneranno anche questa volta?
In margine al dibattito sulla legge COVID in votazione il 28 novembre