Netanyahu e il sionista armato
Israele di nuovo alle urne: per tornare al potere l’ex premier si ‘allea col diavolo’; la sfida fra sionismo religioso e attuale maggioranza potrebbe produrre un nuovo stallo
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Israele di nuovo alle urne: per tornare al potere l’ex premier si ‘allea col diavolo’; la sfida fra sionismo religioso e attuale maggioranza potrebbe produrre un nuovo stallo
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Israele di nuovo alle urne: per tornare al potere l’ex premier si ‘allea col diavolo’; la sfida fra sionismo religioso e attuale maggioranza potrebbe produrre un nuovo stallo
Al peggio dell’estrema destra israeliana sembra davvero non esserci limite. Per la quinta volta in meno di quattro anni (un record planetario) nello Stato ebraico si torna a votare, e il ‘protagonista’ più mediatizzato di questa ennesima (e forse di nuovo inutile) tornata elettorale è il personaggio più inquietante e pericoloso del nevrotico mondo politico di quella che dovrebbe essere ‘l’unica democrazia del Medio Oriente’, che tuttavia occupa e controlla, divide e opprime milioni di palestinesi in Cisgiordania e Gaza.
Dal sistema dell’‘apartheid’ – come più di un’organizzazione umanitaria definisce ormai Israele – emerge infatti il giovane Itamar Ben-Gvir, leader di ‘Otzma Yehudit’ (‘Potere ebraico’), che insieme al socio Bezalel Smotrich (di ‘Sionismo religioso’), viene dato in netta crescita dai sondaggi: i due potrebbero conquistare addirittura il terzo posto nella graduatoria dei partiti nazionali. Per capire di chi e di cosa stiamo parlando bastano alcuni tratti politico-biografici di Ben-Gvir: giovanissimo seguace del rabbino razzista Meir Kahane (autore di una strage di palestinesi in preghiera sulla Tomba dei Patriarchi a Hebron), impegnato nella contestazione ultranazionalista dell’allora premier Itzak Rabin (ucciso sulla Piazza dei Re a Tel Aviv da un altro estremista religioso), entrato un anno e mezzo fa nel Parlamento che aveva espulso il suo ‘idolo’ Kahane, nuovo riferimento dei coloni ebrei sempre attratti dagli slogan securitari, ostile a qualsiasi accordo con gli arabi che abitano le terre conquistate da Israele nella guerra dei sei giorni, di cui propugna la totale annessione, e che non si distanzia dal suo alleato quando afferma che Ben Gurion ‘non portò a termine il lavoro’ (da intendere: fondando Israele non buttò fuori subito tutti gli arabi da Herez Israel); e quando ‘serve’ (ma non serve mai) a Ben-Gvir piace estrarre e brandire la sua pistola, com’è di recente avvenuto sia contro un parcheggiatore palestinese a Tel Aviv sia a Sheik Jarrah, conteso quartiere arabo di Gerusalemme Est).
Ebbene, è con questo fanatico e pericoloso ultrà del nazionalismo religioso che l’ex premier Benjamin Netanyahu ha deciso di allearsi (promettendogli in cambio il ministero della Pubblica sicurezza) per tentare la sua rivincita, realizzare la nuova scalata al potere, scrollarsi di dosso la sentenza definitiva sulle sue pesanti questioni legali. Un autentico ‘accordo col diavolo’, ripete anche una parte della destra israeliana, che ha per anni respinto il dialogo con gli eredi di Kahane. Non il cinico “Bibi”, assetato di vendetta politica e di impunità, che viene ormai rappresentato nel programma satirico di una tv israeliana come il pupazzo a cui Ben-Kvir impone un ballo di tip tap a colpi di pistola fra i piedi.
L’ex premier spera come risultato minimo una somma di consensi (soprattutto dagli elettori più poveri e minacciati dall’inflazione) che gli consenta di imporre un ennesimo risultato di stallo assoluto nella sfida alla fragile coalizione (un autentico carrozzone di schieramenti di diversa convinzione) oggi guidata dal laico, centrista, e moderato Yair Lapid, ex giornalista, attualmente premier ad interim, che recentemente, anche per motivi puramente elettoralistici, ha risfoderato la soluzione dei ‘due Stati’, sostenendo di voler così sbloccare la trattativa con una dirigenza palestinese paralizzata e divisa, corrotta e impopolare negli stessi Territori occupati. Così, nel caso di una ulteriore inutile conta, a fare la differenza potrebbero essere un paio di partiti della minoranza degli arabi rimasti entro i confini israeliani nel 1948, cittadini di seconda serie, che tuttavia rappresentano ben un quinto (21 per cento) della popolazione.
Raramente (a causa delle discriminazioni subite) la partecipazione elettorale della popolazione araba è stata importante. Ma se una loro formazione dovesse raggiungere il quorum del 3,6% dei consensi necessari per entrare alla Knesset, per la seconda volta potrebbero allearsi a Lapid e confermare l’attuale, eterogenea, comunque fragile maggioranza di governo. Enorme paradosso: lo Stato ha varato una legge fondamentale con la quale si proclama che la nazione appartiene unicamente al popolo ebraico, e sarebbe poi la comunità araba esclusa a dover garantire un minimo di stabilità al paese minacciato dalla deriva del sionismo religioso.
Nell’immagine: Itamar Ben-Gvir
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