C’era una volta… (quel che resta tra le macerie)
Una cupa e cinerea parabola in una notte buia e tempestosa
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Una cupa e cinerea parabola in una notte buia e tempestosa
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Una cupa e cinerea parabola in una notte buia e tempestosa
È stato giusto un anno fa. Di notte ovviamente, perché è di notte che gli adulti trasformano i sogni in incubi per poi tenerli in vita durante la veglia – all’alba ciò che avrebbe potuto essere non è più, e quel che resta son solo le nostre macerie. Ma, soprattutto al suo principio, la notte è anche il momento dei racconti e delle favole, l’ora muta delle fate dove ciò che non è forse sarà – e chissà sotto la luce delle stelle e della luna cosa potrebbe nascere.
Così tralasciamo ogni polemica e ogni pregiudizio e iniziamo, come sempre tutto inizia in ogni mondo incantato, con un “c’era una volta…”.
C’era una volta, per lo meno a Lugano, l’autogestione. E oggi non c’è più (o se c’è, chissà dov’è). Lo confesso, un po’ per età, un po’ per indole, un po’ anche per idee e mestiere, non sono mai stato granché vicino agli autogestiti. Vissi con curiosità la prima esperienza dei Molini Bernasconi, frequentai saltuariamente anche il Maglio, poi mi limitai in sostanza ad osservare da distante quanto le nuove generazioni proponevano. “L’ultimo decennio è trascorso con alti e bassi, con confronti duri e anche di rottura che hanno minato in parte l’esistenza stessa del movimento”: non l’ho scritto io, ma Bruno Brughera proprio su Naufraghi/e, uno che di autogestione se ne intende per averla intensamente e intimamente vissuta.
L’impressione (lieto comunque di sbagliarmi), è appunto che da tempo l’ultima generazione dell’autogestione si sia incanalata in un sentiero più che altro autoreferenziale, bloccando in tal modo qualsiasi possibilità di evoluzione e, soprattutto, di dialogo con l’esterno. Che non è il Municipio, ma la città e la società tutta.
C’era una volta… cosa? Lo stato di diritto? Non esageriamo: questo, pur ammaccato e traballante tra cause esimenti, improvvisazioni comunicative, ipotesi di sanatorie, favori agli amici degli amici o ai compagni di merende e quant’altro (aspettiamo con interesse i risultati dell’inchiesta amministrativa in corso oltre che dei ricorsi in sede penale), esiste ancora.
Diciamo allora, se non l’onore, per lo meno il senso civico e di assunzione di responsabilità, perché leggere che le versioni dei poliziotti e quelle dei municipali in un interrogatorio di fronte al procuratore generale divergono – il che significa che almeno una delle due parti mente – non è una bella cosa. Qualche dubbio sull’intrinseca onestà delle nostre autorità, in particolare di chi siede a Palazzo Civico, perciò sorge. Riassumiamo brevemente: due hanno (forse o probabilmente?) mentito di fronte al magistrato, un terzo nella sua carriera ha collezionato più di una condanna penale, un quarto è sotto inchiesta in Italia e un quinto ancora passa la sua vita a insultare e sbertucciare tutto e tutti la domenica e per questo pure lui ci risulta essere pluricondannato. Dimenticato nulla?
C’era una volta non tanto la Lega e il PLR, due partiti che nel bene e nel male hanno fatto la storia della città e che oggi ci sembrano vivere uno stanco e cinereo crepuscolo, ma proprio Lugano, quella città e quella società illuminata che accoglieva i profughi italiani (mai sentito parlare dei fratelli Ciani e di Carlo Cattaneo, giusto per fare due esempi?) e che, camicie rosse e/o fazzoletti di egual colore al collo e armi in pugno – roba che in confronto i “delinquenti” e i “brozzoni” di oggi assomigliano a timorate educande – era scesa in piazza e sulle barricate per donare al Ticino e alla Svizzera le costituzioni più avanzate e progressiste che all’epoca l’Europa avesse mai visto. Nel tempo si è persa, soffocata dalle ruspe e dai soldi di palazzinari e finanzieri d’assalto, senza idee e senza progetti che non siano volti all’immediato e al “particulare”.
C’era una volta anche l’ex macello, un grigio luogo di morte, sia pure necessaria, che tuttavia un bel giorno per merito di un pugno di giovani idealisti è diventato ed è rimasto per una ventina d’anni un colorato luogo di vita, ricco di vitalità, di energia, di dinamismo e di cultura (e scusate se vi sembra poco!), un luogo che un brutto giorno, o meglio in una notte buia e tempestosa, è stato distrutto. Non solo materialmente, purtroppo.
C’erano una volta, anzi ci sono ancora, le macerie di tutto questo, quelle reali tuttora lungo il viale Cassarate e quelle simboliche, eredità imperitura dentro e fuori ognuno di noi. E all’orizzonte nessuno che possa costruirvi sopra qualcosa.
Immagine di Patrizio Broggi
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