Dialogo intorno alla pandemia e ai suoi tanti contagi – Prima parte
Qualche riflessione in uno scambio di opinioni fra due amici che amano confrontarsi sulle idee
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Qualche riflessione in uno scambio di opinioni fra due amici che amano confrontarsi sulle idee
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Qualche riflessione in uno scambio di opinioni fra due amici che amano confrontarsi sulle idee
Siamo entrati nell’anno nuovo, non solo con i più urgenti problemi dell’umanità accantonati e irrisolti, ma con un fardello supplementare che da due anni ci accompagna. Molto sommessamente, senza alimentare le tifoserie in un gioco delle parti fuorviante e stucchevole, ci siamo detti che vale forse la pena proporre un nostro “dialogo”, fra posizioni non sempre concordi, ma aperte al confronto.
Perché in questo lungo e inedito frangente delle vicende sanitarie umane ancora non c’è chiarezza: mancano risposte chiare su alcune evidenze legate alla pandemia e manca tuttora un dibattito aperto e trasparente sulla sanità, la gestione della salute, i modelli di vita, il rapporto fra economia e cure, sui comportamenti sociali e le paure.
E.L.: A me non pare che manchino informazioni e discussioni, anzi, se vogliamo, sono addirittura sovrabbondanti, spesso cacofoniche, oggetto di inutili e strumentali dibattiti fra politici, presunti esperti, medici olistici e compagnia cantante. La questione è che si pongono qui numerosi interrogativi che riguardano appunto “modelli di vita” che non possiamo certo aspettarci vengano risolti da e in una situazione di crisi pandemica come quella attuale. La pandemia sta amplificando ed estremizzando questioni cruciali, è vero. Ma forse sarebbe il caso di uscire prima dalla pandemia e poi ricordarsi bene cosa ha messo in evidenza, per poi battersi per il cambiamento. E per uscirne, bisogna, vorrei dire, anzitutto “fidarsi”, assecondare le indicazioni che ci vengono fornite dalle autorità sanitarie, a cominciare da quella che invita a vaccinarsi tutti coloro che lo possono fare, e che ripete l’invito a seguire comunque rigorosamente le raccomandazioni mediche.
M.C. Sì, ma dal mondo medico-scientifico vorrei che venissero indicazioni veritiere, più chiare e comprensibili. L’autorevolezza scientifica e anche della politica, può essere riconosciuta solo in un rapporto trasparente, in assenza di incongruenze o costanti correzioni di rotta. Ma così non è: ci è stato detto che il vaccino avrebbe debellato la malattia, che due dosi sarebbero bastate, che si poteva raggiungere l’immunità collettiva con il 60% della popolazione adulta vaccinata, ma così non è avvenuto. Perché?
E.L. Perché il COVID in quanto virus si manifesta con varianti “imprevedibili”, che la scienza individua e poi cerca di contrastare, ottenendo risultati tangibili quando la politica e le disposizioni che emana l’assecondano dovutamente, e quando la popolazione accetta di fare quel che le si raccomanda, in nome della solidarietà prima che della “libertà personale”.
M.C.: Qui tu introduci implicitamente uno dei tanti argomenti che hanno diviso la popolazione. Mai come in questo frangente abbiamo assistito a contrapposizioni così marcate fra scelte diverse, categorizzando coloro che la pensano diversamente. È un comportamento strano per chi ha bandito le discriminazioni dal suo vocabolario. Insomma da una parte si dice che i cattivi menefreghisti sono coloro che non si vaccinano e dall’altra da qualche tempo ci dicono che l’immunità di gregge non è raggiungibile. Non è forse una contraddizione?
E.L.: Per quello che ho capito, il virus è destinato, prima o poi, ad essere debellato, o comunque “controllato”, ma quanto tempo ci voglia è difficile dirlo. Dipende dalla diffusione o meno di nuove varianti, che sono il primo fattore a rendere difficile, forse impossibile, l’immunità di gregge. Quando poi parliamo di gregge dovremmo dirci che per “gregge” non vanno intesi tutti gli svizzeri, ma gli abitanti del pianeta, perché la pandemia è globale, in un mondo in cui tutti si muovono, si spostano, viaggiano, scappano. E la grave discriminazione, ancora una volta, fra copertura vaccinale nel primo mondo e nel terzo mondo aggrava tutto, certamente. Ed è uno scandalo. Ma in nome di questa amara constatazione, qui, nel nostro bel parco di privilegiati del primo mondo, decidiamo che allora noi, che pensiamo al terzo mondo, non ci vacciniamo? Ma che senso ha? Insomma, è difficile pensare ad un’immunità di gregge con così tanta parte di popolazione (da noi e nel mondo) che non è vaccinata. Qui, per la stragrande maggioranza dei casi, chi non lo fa è mosso da giudizi o pregiudizi ideologici; altrove perché proprio non gli viene neppure offerta la possibilità.
M.C.: Mi sembra però di aver capito che il virus si diffonde sulla base di quante persone sono coperte non sulla base di quante persone sono vaccinate. Quindi quelli che hanno contratto la malattia sono paragonabili a quelli che si sono vaccinati, anche perché fortunatamente sembra che il virus, mutando, diminuisce la sua virulenza. La variante Omicron appare più contagiosa ma meno aggressiva.
E.L.: Parrebbe di sì, e si parla di un lento passaggio da situazione pandemica a situazione endemica. Ma intanto aumentano comunque le ospedalizzazioni e in modo esponenziale e si amplifica la questione delle risposte pratiche alla “positività”, con isolamenti e quarantene che fanno temere una paralisi anzitutto dei servizi di prima necessità a cominciare dal sistema sanitario. E la questione, certo, è trattata dalla politica attraverso aggiustamenti discutibili, ma si pone anche perché i nove decimi delle ospedalizzazioni concernono non vaccinati, e perché chi vaccinato lo è e chi non lo è non assecondano il più possibile le raccomandazioni sanitarie.
M.C.: Abbiamo anche compreso, dalle evidenze, che vengono colpiti tutti indistintamente, anche se in modi molto diversi in ragione del nostro personale metabolismo. Non era prevedibile già da tempo che l’efficacia dei vaccini fosse incerta nel tempo e nella copertura immunitaria?
E.L.: Si, era prevedibile. Ma non era prevedibile quali varianti potessero prender vita, come e dove. La scienza ha un sacco di limiti propri, ma anche legati a decisioni politiche nel promuovere la ricerca e da una logica di mercato perversa; si muove con grande fatica nell’incertezza di risultati che devono essere testati e che si vogliono avere rapidissimamente con la garanzia della certezza. Dimentichiamo spesso che ancora meno di 100 anni fa un parto era un delicatissimo momento in cui una donna ed il suo bambino potevano facilmente morire. Oggi la morte per parto è un evento eccezionale e, se capita, si va dall’avvocato e si fa causa all’ospedale. A ragione, certo, in relazione ai progressi medici, ma anche sulla base del fatto che la scienza ci ha dato un’idea di “immortalità”, di “garanzia di vita” che questa pandemia sta mettendo in discussione.
M.C.: Certo che ci sono stati grandi progressi e risultati concreti e incoraggianti per contrastare la fragilità umana, ma scienza e medicina hanno anche commesso errori, costati vittime di cui non si parla mai. Anche oggi, il vaccino è “venduto” come sicuro ma nessuno lo garantisce. E inoltre non è documentato chiaramente quale sia l’incidenza dei vaccini sull’emergere di alcune patologie riscontrate, come le cardiopatiti, l’insorgenza di allergie o l’incidenza sull’apparato respiratorio e sulla copertura immunitaria.
E.L.: I riscontri su questo genere di questioni sono stati regolarmente forniti. Certo, ci sono stati e ci sono casi in cui il vaccino ha causato effetti collaterali, come possono causarli tutti i medicinali per i quali ci si consiglia di leggere i bugiardini e poi ci rendiamo conto che forse era meglio anche non farlo. La medicina deve dare riscontro di tutte queste possibili conseguenze, per principio e responsabilità. E lo fa. Tocca poi a noi capire cosa ci dicano questi riscontri e che se vien detto che ci sono stati 6 casi di infarto post-vaccinazione su un milione di casi, stiamo parlando di una tragica fatalità per quei sei, non dei difetti del vaccino. Certo, se trovi i giornali che sbattono in prima pagina “Il vaccino provoca infarto” e non vai oltre, puoi tranquillamente arrivare a manifestare in piazza contro la medicina che uccide.
M.C.: Una comunicazione sanitaria ufficiale trasparente potrebbe aiutare a placare gli animi. Insomma, dovrebbe, lei per prima, misurare i termini utilizzati, renderli comprensibili, fare chiarezza, riconoscere anche gli sbagli e le correzioni. Dovrebbe saper spiegare di più e meglio questa pandemia e quel che ci aspetta nel futuro, piuttosto che far leva sulle prescrizioni obbligatorie e sui silenzi. Corrisponde al vero per esempio che il personale sanitario in Ticino sia stato “invitato” alla discrezione su quanto succede negli ospedali con i ricoveri dei vaccinati? Anche sulle cifre di deceduti e ricoverati si è fatta confusione e solo ora l’UFSP riconosce che i dati sono stati in parte gonfiati. E infine le autorità politiche hanno sempre mostrato coerenza e misura nelle decisioni adottate? Il caso del pubblico stipato recentemente ad Adelboden per la gara di coppa del mondo di sci – in regime di allerta per i ricoveri – è solo uno degli esempi più sconcertanti.
E.L.: A me pare sia stato spiegato che si tratta di una questione di “anticorpi” che va valutata caso per caso, perché si sta sempre e comunque parlando di esseri umani, uno diverso dall’altro. Esiste lo strumento del “sierologico” che aiuta. Mediamente si è stabilito che vaccinazione e guarigione possano essere paragonabili, e così ci si è mossi (politicamente) per prendere, di conseguenza, le decisioni. Però credo anch’io che un “nodo” problematico stia nel rapporto fra indicazioni mediche, frutto di aggiornamenti plurimi e quotidiani in tutto il mondo, e misure sanitarie dettate dai diversi Stati, in relazione a tante, troppe pressioni ed equilibrismi.
Immagine di Edwin Hooper, Unsplash
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