Dialogo intorno alla pandemia e ai suoi tanti contagi – Seconda parte
Qualche riflessione in uno scambio di opinioni fra due amici che amano confrontarsi sulle idee
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Qualche riflessione in uno scambio di opinioni fra due amici che amano confrontarsi sulle idee
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Qualche riflessione in uno scambio di opinioni fra due amici che amano confrontarsi sulle idee
Siamo entrati nell’anno nuovo, non solo con i più urgenti problemi dell’umanità accantonati e irrisolti, ma con un fardello supplementare che da due anni ci accompagna. Molto sommessamente, senza alimentare le tifoserie, in un gioco delle parti fuorviante e stucchevole, ci siamo detti che vale forse la pena proporre un nostro “dialogo”, fra posizioni non sempre concordi, ma aperte al confronto.
M.C.: Perché in questo lungo e inedito frangente delle vicende sanitarie umane, ancora non c’è chiarezza: men che meno dopo che proprio nella giornata di ieri abbiamo vissuto uno dei momenti di maggior frattura fra le decisioni prese a livello del Consiglio Federale e i preavvisi che vengono dal mondo sanitario. La riduzione dei tempi di isolamento per positivi e di quarantena per chi ha avuto contatti con positivi è un esempio lampante di una sorta di “gestione” dei riflessi della pandemia in cui la politica si sta forse mostrando debole di fronte alle pressioni, divisa al proprio interno fra Confederazione e Cantoni, fra schieramenti legati più o meno agli interessi dell’economia. In questo senso, poi, fra le “misure” più discusse c’è quella dell’adozione dei “green pass” o “Covid Pass”: è davvero uno strumento utile al raggiungimento degli obiettivi sanitari o è solo uno strumento repressivo per obbligare alle vaccinazioni? Un gruppo consistente di avvocati e giuristi svizzeri sta raccogliendo adesioni per chiedere anche in Svizzera che il pass sia considerato uno strumento illegittimo dal profilo costituzionale.
E.L.: Il pass è uno strumento utile, sì, perfetto ed ineccepibile no. Ma in una situazione in cui si è deciso di non spingersi politicamente e giuridicamente fino ad obbligare le persone a vaccinarsi, lasciando dunque la facoltà e la libertà di scegliere, si è dovuto poi trovare uno strumento che permettesse di “gestire” le situazioni di contatti e rapporti sociali. Quanto alle decisioni prese ieri dal Consiglio Federale, ho visto ed ascoltato anch’io con grande preoccupazione e non senza perplessità i pareri molto critici venuti dal fronte sanitario.
M.C.: Infatti, e quanto sta emergendo in questa emergenza, mi fa dire poi che l’attuale sistema sanitario ha risposto umanamente in modo ineccepibile ma strutturalmente in modo discutibile. Forse è ora di ragionare in modo serio e non divisivo sul nostro apparato sanitario.
E.L.: Il sistema sanitario è sempre perfettibile, come tutta la realtà in cui viviamo e che ci circonda, mi pare quasi un’ovvietà. Il nostro sistema sanitario, nel paese più ricco del mondo, perfettibile lo è in modo clamoroso sotto tanti punti di vista. La pandemia ha messo in evidenza molti aspetti critici, con costi della salute che sono un vero salasso e che porteranno ad ulteriori disparità di trattamento, probabilmente e drammaticamente verso un “triage di routine” come nella disastrosa realtà americana. Ma in una situazione tanto delicata ed estrema come quella che stiamo vivendo, il nostro sistema sanitario ci ha mostrato anche che sta facendo il possibile e l’impossibile per arginare la situazione, a maggior ragione in conseguenza con le più recenti decisioni della politica. Ma nessuno, credo, sta giocando con la nostra salute.
M.C.: Certo che no, ci mancherebbe, anche se gli interessi finanziari in questo ambito sono cospicui. Ma vorrei chiederti una cosa: si è parlato molto del valore anche di una singola persona in questa pandemia. Ma allora estenderei la discussione non solo alla mortalità potenziale dei virus ma anche ad altre patologie (e ai motivi che le causano) che investono le nostre società. Le polveri fini sono una minaccia, il fumo pure e poi c’è l’alimentazione, l’incidenza dello stress, le depressioni, i suicidi. Ma di tutto questo si parla solo saltuariamente e non viene mostrata la stessa solerzia a combattere questi mali.
E.L.: La cultura in cui viviamo è quella che ci fa credere di essere, più o meno, immortali. Così non è, ovviamente, e dobbiamo certamente farcene una ragione. Siamo esseri “mortali”, per le più diverse ragioni e patologie. Oggi la pandemia, che si manifesta con maggiore o minore gravità anche in relazione ad altre patologie, è logicamente al centro dell’attenzione e di ogni discussione, ma questo non nega certo che vi siano molte altre questioni legate alla salute che andrebbero (e vanno) monitorate e discusse. È chiaro, comunque, che la morte, ad un certo punto arriva, ed è di per sé uno “scandalo inaccettabile”, da sempre. Fa paura. E la paura, tanto umanamente comprensibile, non aiuta ad affrontare alcuna situazione di crisi.
M.C.: La popolazione anziana (over 80 in particolare) è quella che ha pagato il prezzo più elevato alla pandemia; sono immaginabili modelli sociali alternativi rispetto a quelli che conosciamo per l’accompagnamento alla vecchiaia?
E.L.: L’invecchiamento della società è un tema di cui si legge molto, anche perché è un dato certo, proprio per i progressi di scienza e medicina. Con tutte le conseguenze sociali ed economiche del caso. Ma qui, davvero, la pandemia c’entra poco. Ancora una volta, semmai, inducendo all’isolamento precauzionale dei vecchi in casa di riposo, prefigura un possibile scenario futuro, in cui i vecchi (sempre più vecchi e improduttivi) staranno, soli, ad aspettar di morire. A spese del contribuente, diranno poi rampanti politici alla Morisoli.
M.C.: Pandemia fa rima con economia, ed il mondo economico ha fatto e continua a fare una grande pressione sulle decisioni politiche in materia di misure sanitarie, l’abbiamo visto anche ieri. E poi, economicamente, la diffusione dei vaccini è uno straordinario “affare” per le case farmaceutiche che ne detengono il brevetto e li vendono. È noto che i vaccini, a dipendenza del produttore, hanno costi variabili sensibili, ma non mi risulta sia noto il prezzo pagato dalla Confederazione per i vaccini anti-Covid. Quanto ha pagato Berna (quindi tutti noi) per dose e per casa produttrice? È eticamente sostenibile, di fronte ad una crisi internazionale, che le grandi ditte farmaceutiche vendano i vaccini anti-Covid ad oltre cento volte il potenziale costo di produzione? A me non pare proprio. Perché i contratti delle case farmaceutiche siglati con gli Stati non prevedono, in caso di danni da effetti collaterali, indennizzi da parte dei produttori? E perché invece i brevetti restano in mano ai privati, nonostante la manleva e i finanziamenti pubblici? Quanto peserà sul debito pubblico nazionale la gestione dell’emergenza pandemica? Ed è possibile prevedere per tempo quanto inciderà sui costi della salute?
E.L.: Mi sentirei di dire che sono tutte questioni che poni in modo assolutamente legittimo. Condivido interrogativi e preoccupazioni. Anche un certo sdegno, se vuoi. Delle questioni “economiche” non saprei dire di più di quanto ho accennato sopra: è chiaramente scandaloso che le farmaceutiche non siano state costrette a rinunciare almeno in una parte cospicua, alla gestione e alla rendita dei loro brevetti. A livello globale è evidentemente la causa della disparità fra primo e terzo mondo; bisogna giustamente battersi contro questo delitto contro l’umanità.
M.C.: Ma saremo in grado di “uscirne” con la giusta convinzione di cambiare le cose?
Come intendiamo affrontare il futuro prossimo venturo, dato quasi per assodato che seppure con ulteriori mutazioni, questa situazione potrebbe divenire endemica? Il cosiddetto ritorno alla normalità fa riferimento ad una dinamica socio-economica pre-pandemica che conteneva altrettante e diverse componenti suicidarie per l’umanità? E si potrebbero aggiungere molti altri interrogativi rimasti sinora insoluti. Se questa “emergenza” poteva insegnare qualcosa di duraturo e incisivo all’umanità, questo stava nell’opportunità di approfondire i nostri modelli esistenziali, le nostre scelte politiche e sociali, le disuguaglianze, il nostro rapporto fra il modo di condurre l’esistenza e la certezza della sua fine. In una dialettica che avrebbe dovuto essere trasparente e ampia. Gianfranco Domenighetti, insisteva non a caso sull’importanza dell’informazione per migliorare l’adeguatezza dei comportamenti, delle prestazioni, dei servizi e delle politiche in materia sanitaria. Mi pare che anche dal profilo informativo, per interpellare infine anche il mondo dei media, si sia fatto, un servizio non sempre ineccepibile. La stampa ha fatto e sta facendo il suo dovere? Che corrisponde ad approfondire prima di informare, che significa dare corpo a più voci anche contrastanti e proporre molti interrogativi?
E.L.: Sulle componenti suicidarie prepandemiche non saprei bene che dire, forse non capisco cosa intendi. Sul ruolo della comunicazione certo ci sarebbe moltissimo da dire: in epoca social, tutto va bene, ognuno può dire la sua sulla scorta di quattro nozioni raccattate su Google per poi diffonderle nella propria “bolla” di amici. Ancora più grave è che a questa attitudine si siano prestati non tanto vari politici (che quelli ormai fanno il loro verso con annesso tornaconto ad ogni piè sospinto) ma anche e soprattutto esponenti della scienza che si sono messi (in tv e sui giornali) a litigare fra loro in maniera indecente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: generica delegittimazione della categoria, messa in discussione, per principio, di ogni indicazione medica, ecc. C’è stata una pandemia informativa in cui ognuno ha pubblicato senza criterio né gerarchizzazione ogni cosa che potesse avere effetto sui lettori, fare rumore, creare polemica. Trovo che invitare e lasciar parlare Nussbaumer, per fare un esempio del nostro microcosmo, sia stato quasi “delittuoso”. Ma è la libertà d’opinione, bellezza, mi si risponderebbe. E a me è venuto persino da pensare che possa pur rendersi necessaria, a volte, anche una sorta di “censura etica”: non tutti hanno sempre e comunque diritto di parlare, senza competenze. Ma è vero, hai ragione, nel nostro lavoro abbiamo davvero tanto su cui riflettere intorno alla pandemia.
Immagine di Edwin Hooper, Unsplash
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