Dick Marty controcorrente
La crisi del nostro sistema democratico nelle riflessioni affidate da Dick Marty al libro “Verità irriverenti”, intorno a cui si terrà dopodomani, a Breno, un incontro pubblico con l’autore
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La crisi del nostro sistema democratico nelle riflessioni affidate da Dick Marty al libro “Verità irriverenti”, intorno a cui si terrà dopodomani, a Breno, un incontro pubblico con l’autore
• – Fabio Dozio
Il capo del Cremlino sostiene che l’Occidente ha tentato di cancellare la cultura del suo paese, ma è proprio il suo regime ad appiattirne e comprometterne la creatività
• – Yurii Colombo
I contadini vivono segregati, coltivare la terra è proibito e gli insediamenti si espandono
• – Redazione
Con due guerre in corso nel cuore di esplosive polveriere regionali, la crescita continua. Persino l’inflazione comincia a mostrare segnali di moderazione
• – Redazione
I palestinesi temono ciò che certi ministri di Netanyahu non nascondono: una seconda “Nakba”, come quella che nel 1948 espulse anche con la forza dell’esercito israeliano circa 700.000 arabi, costretti a diventare profughi permanenti
• – Aldo Sofia
le nuove vittime palestinesi anche nel sud di Gaza, le critiche a Netanyahu per la fine della tregua, e un attentato che ricorda quanto esplosiva sia anche la tensione nei Territori occupati
• – Aldo Sofia
Il Comitato Internazionale Olimpico non ha cambiato né pelo, né vizio: vince chi garantisce il maggior incasso e perciò la nostra candidatura per i Giochi invernali del 2030 non verrà presa in considerazione
• – Libano Zanolari
È scomparso a Martigny, all’età di 88 anni, uno dei grandi promotori culturali svizzeri degli ultimi decenni. Sua la Fondazione che ha ospitato mostre di straordinaria qualità e di enorme successo
• – Enrico Lombardi
I dubbi sull’intesa firmata alla Cop28. Per costruire le centrali ci vogliono decenni: per restare entro gli 1,5 gradi di riscaldamento dovremmo tagliare le emissioni del 42% da qui al 2030
• – Redazione
Eppure diversi esempi dimostrano che si tratta di un partito che spesso contraddice i ‘valori’ che sostiene di rappresentare e difendere
• – Beat Allenbach
La crisi del nostro sistema democratico nelle riflessioni affidate da Dick Marty al libro “Verità irriverenti”, intorno a cui si terrà dopodomani, a Breno, un incontro pubblico con l’autore
Dick Marty ha scritto un bel libro. Sulla spinta di due guai che gli sono capitati. Una malattia grave, “una battaglia che non si può vincere a meno di un miracolo”, e l’essere stato vittima di minacce di morte provenienti dai Balcani, dove è stato attivo negli anni scorsi per indagare su presunti traffici di organi in Kosovo, che l’hanno obbligato a vivere sotto scorta per sedici mesi. Troppi, perché le autorità svizzere hanno dormito, ciò che “pone interrogativi assai inquietanti sul funzionamento delle nostre istituzioni”.
Un libro stimolante che merita di essere distribuito nelle scuole superiori, invece di “insipide lezioni teoriche di civica”, come suggerisce Franco Cavalli alla responsabile del DECS.
Infatti, le pagine di Marty non sono per nulla insipide e meritano di essere meditate. Ci occuperemo qui solo di un paio di capitoli, dedicati al destino della democrazia, “una pianticella delicata” che rischia di essere sradicata dalle nostre società. L’aria che tira in Occidente, ormai alla deriva, come molti studiosi sottolineano, è preoccupante. Non basta garantire il diritto di voto perché un paese si possa definire democratico. Dagli Stati Uniti, dove Donald Trump continua a imperversare, all’Argentina, dove vince il fenomeno ultraliberale Milei, all’Olanda, dove conquista l’elettorato il populista di estrema destra Wilders, e ancora Italia, Ungheria, Israele. Eccetera, eccetera.
La sfiducia nelle istituzioni è in aumento, i partiti storici perdono importanza e le tendenze autoritarie rispuntano da più parti. Non bastano le elezioni, è indispensabile che vi sia lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, il rispetto dei diritti fondamentali e delle minoranze: “In numerose democrazie mi sembra si manifesti una dinamica preoccupante e illiberale tesa a neutralizzare i contropoteri, riducendo in particolare la competenza del parlamento e della giustizia”. Inoltre, aumentano i poteri sovranazionali, istituzioni internazionali o potenze economiche, come pure i giganti delle nuove tecnologie, che stravolgono le politiche degli Stati nazionali: “In realtà – scrive Marty – non vi è più alcuno Stato che sia completamente autonomo: stiamo irrimediabilmente evolvendo verso un sistema di sovranità condivisa, purtroppo in modo sempre più opaco”.
Anche la Svizzera, al di là del coro rossocrociato su autonomia-indipendenza-neutralità-sovranità, è ormai condizionata dai “comitati d’affari” internazionali che impongono di violare la neutralità: vedi Ucraina e guerra in Medio Oriente, per non dimenticare il Sudafrica dell’apartheid, la subalternità agli Stati Uniti e i condizionamenti delle multinazionali. Tema caro, quest’ultimo, all’ex consigliere agli stati che si è molto impegnato per la votazione di tre anni fa sulle multinazionali responsabili.
La Svizzera può essere fiera della sua democrazia semi-diretta che concede al popolo la possibilità di esprimersi con le iniziative popolari e con i referendum. Tuttavia Marty esplora alcune debolezze recenti, venute alla luce durante la pandemia. Il Consiglio federale ha utilizzato lo stato di necessità per prendere decisioni scavalcando il Parlamento, che il 15 marzo del 2020 ha deciso di chiudere anticipatamente la sessione primaverile. Non siamo come l’Italia, dove ormai si governa a colpi di decreti con il parlamento esautorato, ma anche da noi da tempo si constata “con viva preoccupazione la continua erosione dei poteri legislativo e giudiziario a favore dell’esecutivo”. Su questo tema entra in gioco il federalismo, che mostra i propri limiti. Marty suggerisce che il numero dei cantoni potrebbe essere messo in discussione, per creare entità più grandi. Un aspetto di cui si discute da tempo.
Il politologo Pascal Sciarini, nella sua recente poderosa e ricca opera Politique suisse, conferma: “Questa simmetria tra l’uguaglianza di diritti e doveri dei cantoni e l’ineguaglianza in materia di grandezza e di ricchezza costituisce in pratica un problema maggiore”. “La posizione dei cantoni piccoli – dice Sciarini – è generalmente difensiva e si traduce soprattutto nel rifiuto delle riforme non condivise”, in particolare nelle votazioni in cui è necessaria la maggioranza dei cantoni. Ridurre il numero dei cantoni sarebbe auspicabile, dice il politologo, ma al momento è ”politicamente impensabile”.
Dick Marty non rinuncia a criticare il Consiglio federale per altre situazioni in cui ha fatto ricorso a poteri straordinari: nel 2008 per il dissesto di UBS e per il caso Tinner (“Su pressione americana, per mascherare attività illecite della CIA, il consigliere federale Christoph Blocher ha ordinato il sequestro e la distruzione degli atti dell’inchiesta in corso presso il Ministero pubblico della Confederazione. Un provvedimento senza precedenti e, a mio parere, scandaloso”). E, recentemente, per il disastro del Credito Svizzero. I dirigenti cadono sempre in piedi e sono i contribuenti a perderci. Non solo “Too big to fail”, troppo grandi per fallire, ma anche “Too big to jail”, troppo grandi per finire in galera, come meriterebbero. L’ex consigliere agli Stati non fa sconti e afferma: “gli atteggiamenti delle due grandi banche assomigliano sempre più a quelli di un’associazione a delinquere”.
L’Autore ricorda, a chi pensa ancora che siamo i primi della classe, che le classifiche internazionali sulla qualità della nostra democrazia ci vedono in buona posizione ma non ai vertici: settimo posto nel Democracy index, settimo posto per quanto riguarda la corruzione e dodicesimo in materia di libertà di stampa.
La nostra democrazia diretta, senz’altro benemerita, è da tempo eccessivamente strapazzata. Il numero dei votanti diminuisce e ciò è un cattivo sintomo. Marty ritiene che si voti troppo su iniziative e referendum e che potrebbe aver senso votare su meno argomenti, introducendo un aumento del numero delle firme necessarie per iniziative e referendum o forse porre un limite alla soglia di partecipazione, un quorum che invalidi i diritti se la partecipazione è troppo bassa. Pascal Sciarini, su questo tema, sottolinea che le iniziative rivelano qualche zona d’ombra, in particolare per quanto riguarda l’applicabilità di certe proposte accettate dal popolo. Inoltre “un altro motivo di preoccupazione – dice il politologo professore a Ginevra – è lo scostamento dell’iniziativa dalla sua vocazione iniziale, che consisteva nell’offrire un punto di accesso al sistema politico agli attori minoritari o anche non rappresentati nell’arena parlamentare”.
In proposito è utile ricordare che nel 1977 il popolo svizzero ha deciso di aumentare il numero di firme necessarie per iniziative e referendum. Da 50 a 100 mila per le iniziative, da 30 a 50 mila per i referendum legislativi. La correzione era giustificata soprattutto dall’aumento del numero dei votanti e delle votanti. Ma il problema forse più pernicioso è il ruolo del denaro nelle campagne politiche. Chi ha soldi, Blocher docet, può permettersi di pagare addetti alla raccolta delle firme. E, in ogni caso, chi può investire somme ingenti può condizionare il risultato delle votazioni. Ancora Pascal Sciarini ci illumina e cita uno studio che spiega come nel caso delle iniziative, “ogni milione di franchi in più investito da uno schieramento in confronto a quello avverso, equivale a un guadagno di quasi due punti percentuali (1,7) al voto popolare”. Chi può permettersi simili investimenti? “Si tratta essenzialmente – spiega Sciarini – dell’UDC e delle associazioni mantello dell’economia, economiesuisse e USAM”. Capito?
Ma ecco un punto cruciale per l’ex Consigliere agli stati: “Il modo di governare richiede un profondo ripensamento, anche nella nostra mirabile democrazia”. Un dibattito su questi temi è necessario, ma la Svizzera si accontenta del quieto vivere, che si basa da sempre sul mito del compromesso. Marty si chiede se sia ancora attuale la partecipazione al governo di tutti i partiti principali, considerando che il partito di maggioranza gioca spesso nel campo dell’opposizione. E poi, che senso ha che Alain Berset si esprima contro l’iniziativa sulle multinazionali responsabili o che Albert Rösti difenda la legge sul clima?
Il professor Sciarini da tempo sottolinea, come altri politologi, che sia necessaria una riforma del governo svizzero, la quale dovrebbe affrontare il problema della mancanza di direzione e di coerenza. “In proposito ritengo che il passaggio a un sistema parlamentare sarebbe l’unico modo, certamente radicale, di rimediare a questo problema”. Il sistema parlamentare rafforzerebbe il governo, che si dota di un primo ministro e, soprattutto, rafforza l’interdipendenza tra governo e parlamento e, quindi, il sistema rappresentativo. Però Sciarini titola il capitoletto in materia: “Une (im)possible réforme”.
Migliorare la nostra democrazia significa creare le condizioni per affrontare le riforme vitali per le prossime generazioni. “Mai come oggi – sottolinea Dick Marty – è l’esistenza stessa del mondo in cui viviamo a essere messa in discussione. Penso al cambiamento climatico, alla spaccatura sociale promossa da un capitalismo sempre più cinico e predatore, al crollo della biodiversità”.
“Verità irriverenti” è il titolo del libro di Dick Marty: un manifesto scritto da “un granello di sabbia che tanto può dare fastidio”. Ottima condotta, per un liberale radicale di altri tempi (ahinoi!) che ricorda il monito di Antonio Gramsci: “Odio gli indifferenti!”
Nell’immagine: Dick Marty a Leukerbad nel 2019
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