Dietro un caccia, la ricerca di un’utilità perduta
Un paio di riflessioni non troppo originali sull'esercito elvetico
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Un paio di riflessioni non troppo originali sull'esercito elvetico
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• – Aldo Sofia
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• – Franco Cavani
Israele vive sopra una bomba, e il diniego dei diritti palestinesi è il grande ostacolo
• – Sarah Parenzo
Le misure entrate in vigore sabato non tengono conto del fatto che il virus si trasmette per via aerea. Ed è un grosso errore
• – Riccardo Fanciola
La pandemia cambia i modi di produzione, in prospettiva meno occupazione e la necessità di una riforma del nostro modello fiscale
• – Aldo Sofia
“Avvenire”, giornale dei vescovi italiani, denuncia il crimine contro ragazzine somale abusate da guardie libiche dopo la cattura in mare; un orrore confermato dall’ONU
• – Redazione
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• – marcosteiner_marcodanna
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• – Silvano Toppi
Le politiche ambientali svizzere sono cambiate molto negli ultimi anni. Purtroppo in peggio. Fra i vincitori, cementificatori e USTRA
• – Simona Sala
Un paio di riflessioni non troppo originali sull'esercito elvetico
C’è grande agitazione nei cieli svizzeri, un’agitazione tutta bellica. Si parla moltissimo del nuovo caccia, il cui acquisto è stato autorizzato al buio da noi elettori, che abbiamo potuto esprimerci sui costi e, assai comprensibilmente, non sulle scelte tecniche. Gli strumenti per la difesa del “patrio suol” sono cosa troppo importante per essere lasciata ai laici, soprattutto alla luce delle gravissime ed esiziali minacce che apparentemente incombono sulla nostra pacifica comunità, come sappiamo bene ascoltando ad esempio i cattolici militaristi di casa nostra, chierichetto in testa, o i soliti piazzisti di angosce; ed è cosa che richiede materiali tecnologicamente all’avanguardia, state of the art, e nello specifico una difesa aerea dura e pura, e che non si limiti agli orari di ufficio di uno sportello bancario qualsiasi.
Si elevano ora, da sinistra, alti lai e bellicose intenzioni contro l’ipotesi dell’acquisto di un aereo di produzione americana, argomentando che il fornitore potrebbe accedere “in remoto” alle nostre strategie più segrete, scaricando di nascosto i dati dalla strumentazione informatica dei caccia in questione. Dopo che abbiamo autorizzato che una ditta svizzera (Crypto) vendesse a mezzo mondo macchinari taroccati, che consentivano ai servizi segreti americani di spiare i loro incauti clienti, questa ipotesi ha un non spiacevole e comico retrogusto da contrappasso dantesco.
Dovremmo averlo capito che, alla fin fine, tutta la struttura del nostro esercito ha una funzione che non ha nulla a che vedere con quella della difesa, almeno non con quella “classica”; si tratta ormai solo di un costoso e incongruo strumento retorico, quasi fàtico (direbbero i linguisti), che serve a offrire a questa composita Willensnation un simbolo potente della coesione nazionale, un’incarnazione in tuta mimetica (quindi assai binaria e imperfetta) di valori comuni. Che non abbia funzione diversa lo si capisce dai compiti che vengono sempre indicati per giustificarne l’esistenza, che sono tutti – senza eccezione alcuna – non specifici di un esercito, ma piuttosto quelli che più utilmente e razionalmente si affiderebbero alla protezione civile. A questo aggiungerei un compito, anch’esso non inessenziale almeno per i beneficiari diretti, quello di canalizzare le pulsioni, di tacitare le frustrazioni e di alimentare l’intermittente ego di taluni personaggi, che in grigioverde trovano compensazioni per un destino “civile” che essi ritengono – per lo più a torto – assai crudele e ingiusto nei loro confronti; insomma, una terapia psichiatrica a spese della comunità. In questo senso, il nostro esercito è manifestamente inutile per i motivi per i quali è stato creato, ma serve per obiettivi non bellico-difensivi ma psicologici (psichiatrici), retorici e sociologici; e politico-partitici, ovviamente. L’esercito è un po’ come l’inno nazionale (un inno decente, intendo): forse ci unisce, ma concretamente serve zero.
Resta da capire fino a quando saremo disposti a spendere per armi e strumenti di offesa, e in generale per questo costoso giocattolo, che sembra soprattutto manifestare la fragilità del nostro senso di comunione nazionale; un senso di comunione nazionale che sembra avere bisogno di simboli tanto banali quanto plateali per nutrirsi e per legittimarsi. A giudicare dalla caratura dei eletti, e dal dibattito in corso, non mi sembra prossimo il momento in cui saremo pronti per una riflessione serena e lucida sul tema, e per le scelte che da essa deriveranno.
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