Dubbi all’ultima spiaggia
Nel caldo dei «beach party» vien da pensare all’uso delle spiagge e anche delle parole
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Nel caldo dei «beach party» vien da pensare all’uso delle spiagge e anche delle parole
A ritenere che il il Jova tour sia tutt’altro che un’operazione di sensibilizzazione verso l’ecosistema delle italiche coste sono in verità parecchie organizzazioni locali di impronta, diciamo, “verde”. A fianco di Jovanotti c’è invece il WWF italiano, che pare abbia dato il proprio avallo per la scelta delle località e delle spiagge in cui fiondare centinaia di operai, tecnici, camion e ruspe di ogni grado e funzione per montare non solo il megapalco ma anche per creare l’arena ( e la rena) capace di accogliere decine di migliaia di fans (tutti, naturalmente, sensibili alla causa ecologista).
E infatti, al pubblico entusiasta che, dopo due anni di interruzione dal tour del ’19, può tornare a cantare e ballare a piedi nudi nella sabbia al ritmo dei successi jovanottiani, si danno precise istruzioni su come comportarsi in rispetto del luogo del concertone: niente bottiglie o bicchieri di plastica abbandonati, niente cartacce, tutto deve essere lasciato ancor meglio di come è stato trovato. Insomma, il tour di Lorenzo viene promosso e venduto, né più né meno, come un modello di virtù, nonostante vi sia chi osi metterlo in dubbio.
Ecco, appunto, siamo al dubbio, un termine forse “ambiguo” per dirla con un recente contributo di Silvano Toppi, che può evocare indecisione, incertezza, confusione, persino sospetto, certo, in questa stagione in cui devono per forza valere le reazioni a caldo, anzi, canicolari, su ogni argomento intorno al quale si voglia provare a ragionare.
Non a caso la polemica (non chiamiamola discussione, per carità, dev’essere subito polemica) si accende ed infiamma, il dibattito impazza ( quando si dice l’importanza delle parole); a colpi di accuse e controaccuse, si litiga fra organizzazioni ambientaliste locali e WWF Italia. Nessuno che pone un minimo dubbio, si passa subito all’attacco.
Jovanotti, risponde per le rime e senza mezzi termini, via social, ai dubbi sollevati su “La Stampa” dal divulgatore scientifico Mario Tozzi e poi, sempre più scatenato, si scaglia in prima persona contro alcune organizzazioni della cittadina marchigiana di Fermo, dove è prevista la prossima tappa del Jova Beach Party. Tali organizzazioni hanno il torto di chiedere al carrozzone del cherubino ambientale di lasciar perdere il luogo prescelto, lasciarlo stare così com’è, con le sue dune e la sua vegetazione particolare che ne fa comunque un luogo di “biodiversità”.
In una lunga diretta social Lorenzo denuncia tutti coloro che contestano il suo tour dicendo che sono critiche che vengono da chi non sa, da chi non è mai andato a constatare direttamente in cosa consista la sua ecologissima operazione musicale (che per la cronaca è una macchina ingombrantissima e costosissima, per cui gli spettatori pagano, incidentalmente, fra i 90 ed i 350 euro a bagnante per assistervi).
Ed ecco la stoccata finale: “quelli che criticano sono tutti eco-nazisti”, dice il Jova. E ti pareva che in questa torrida estate conflittuale, in un’Italia (ma non solo lì) dove il termine si è affibbiato un po’ a chiunque, non saltasse fuori che i nazisti si annidano anche fra gli ambientalisti.
Nel regno del dibattito urlato e del giudizio perentorio, al dubbio si oppone immediatamente l’epiteto, i toni si alzano almeno quanto i decibel con cui il Jova addomestica pubblico e natura sulle spiagge italiane. E come fosse un’evidente conseguenza, chiunque segua la vicenda, al più presto, è chiamato a schierarsi: di qua o di là. Inesorabile, anche se forse non sorprendente, per un Paese in cui anche a causa delle concessioni balneari è praticamente caduto il governo.
Ma possibile che non possa propria funzionare in altro modo? Provare a partire dai dubbi e provare a scioglierli, fra le parti in causa con fondati argomenti, no? Magari Jovanotti potrebbe essere nel giusto quando dice ai suoi detrattori di andare a vedere che succede ai suoi concerti. E poi però, qualora qualcuno ci andasse, lui dovrebbe poi considerare che qualche ragione potrebbe averla anche chi contesta. E infine, perché non immaginare che il dubbio possa rappresentare un elemento capace di nutrire la ragione e le ragioni degli uni e degli altri?
È vero, non si può passare una vita a non saper scegliere o decidere, in preda ad eterni dubbi. L’arte del temporeggiare avrà forse giovato ai Romani per stanare gli Elvezi, tanto tempo fa; ma in generale, a furia di cincischiare si rischia sempre che a decidere siano poi quelli che lo fanno più in fretta, in generale a proprio vantaggio.
Anche sciogliere i dubbi, laddove sia possibile, per ciascuno, deve essere operazione delicata sì, ma non eterna. E possibilmente convinta e consapevole, non ambigua. Ma poi, che male c’è, in spiaggia come in città, di fronte ad un semplice concerto così come ad un complesso e atroce conflitto, lasciare nel proprio argomentare sempre un piccolo spazio per il dubbio, darsi il tempo per una verifica, per un ragionamento in più, addirittura per farsi sorprendere e sconfessare nelle proprie convinzioni?
Chissà se possano essere domande che è ancora lecito porsi, qui, di fronte ad un orizzonte da ultima spiaggia.
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