Domenica voto anticipato; favorito il Partito Popolare, che però rischia di dover governare in coalizione con gli estremisti di VOX; difficile ‘remontada’ del PSOE protagonista di importanti realizzazioni sociali
La grande “remontada” è probabilmente esclusa. Tra i diversi istituti demoscopici spagnoli, soltanto uno ritiene infatti difficile ma non impossibile la “rimonta” del socialista Pedro Sánchez nella sfida elettorale di domenica contro il favorito popolar-conservatore Alberto Núñez Feijóo. Se così sarà, per la prima volta, segnala “Le Monde”, il PSOE perderebbe il potere mentre il Paese non registra una crisi economica. Nell’ultimo lustro la sinistra iberica non ha governato male, e lo confermano i principali indicatori: creati due milioni di nuovi impieghi; la disoccupazione (fra le più alte dell’UE) è calata di due punti; l’inflazione è scesa all’1,9 per cento (meglio del traguardo indicato dalla BCE); Pil cresciuto del 5,5% e che quest’anno dovrebbe salire di un altro 2,3%, il doppio di quanto previsto per gli altri membri dell’Unione. Tutto questo nonostante le pesanti conseguenze del Covid e dell’emergenza sanitaria. Ma non solo. È infatti sul piano delle iniziative sociali che Pedro Sánchez ha mantenuto buona parte delle sue principali promesse: già dal 2018, salario minimo aumentato del 47%; indicizzazione delle pensioni per affrontare la crescita del costo della vita; una riforma della legge sul lavoro che limita i contratti precari, scesi infatti dal 26 al 17%.
Eppure, nemmeno il lusinghiero giudizio degli specialisti dell’OCDE sui risultati ottenuti da Madrid sembra bastare alla maggioranza degli elettori. Come mai? Non solo o non tanto per il fatto che questo buon bilancio, come segnala l’economista Joaquin Maudos, dell’Università di Valencia, non ha sufficientemente eliminato le disuguaglianze che affliggono la parte della popolazione più vulnerabile ad inflazione e aumento dei tassi ipotecari (in Spagna il 70% dei debiti immobiliari è a tasso variabile; ma forse soprattutto perché questo voto coincide con una fase di grandi fratture ideologiche-identitarie-culturali nella storia democratica dell’ultimo mezzo secolo spagnolo. In cui i rivali di destra e soprattutto di estrema destra della sinistra inseriscono una delle principali accuse rivolte alla gestione di Pedro Sánchez: aver governato col sostegno esterno dei partiti autonomisti o indipendentisti. Riuscendo certo a raffreddare se non addirittura disinnescare l’esplosiva questione catalana, ma esponendosi all’accusa degli ‘spagnolisti’ (la maggioranza della nazione, e non tutti espressione del fronte conservatore), che nulla ritengono di dover concedere alle aspirazioni anti-centraliste se non proprio indipendentiste della Catalogna o dei Paesi Baschi.
È in queste fratture che il leader dei popolari Feijóo ha trovato le risposte politiche per il ritorno al palazzo della Moncloa del suo partito, ancora pochi anni fa in pieno discredito per effetto di pesanti scandali). Storico presidente della Galizia (terra del dittatore generalissimo Franco ma anche di premier spagnoli del post-franchismo), il tradizionalista Feijóo è un uomo di centro, relativamente moderato, che denuncia gli estremismi, ed in questo la sua campagna elettorale è stata coerente. Ma c’è un… ma: se non dovesse ottenere quella maggioranza assoluta alle Cortes a cui aspira, ed è improbabile che l’ottenga, il candidato premier dell’opposizione dovrà scendere a compromessi con il più estremista degli schieramenti in campo: Santiago Abascal del partito “Vox”. Puro reazionarismo di estrema destra, forti tracce di malinconie franchiste, pochissima simpatia per la parità di genere, totale ostilità al riconoscimento dei diritti sessuali e monoparentali della costellazione lgbtiq+, fortemente anti-immigrazione (si fa accezione per i rifugiati cubani anti-castristi e i venezuelani anti-Maduro), nostalgici richiami alla storia della “Reconquista” cattolica in particolare contro il Califfato islamico, revisionista dell’europeismo comunitario, associato al nuovo patriottismo in ascesa, trumpiano che in Giorgia Meloni ha il suo più caloroso alleato, già in coalizione con i popolari in alcune amministrazioni locali: uno schieramento che i sondaggi accreditano di un 13% di voti nazionali. Crescita ‘benedetta’ dalla costante accusa rivolta alla sinistra di voler riaprire le “ferite” del passato, con le sue decisioni di non risparmiarsi nulla in fatto di denuncia, di presa di distanza, e di ‘riparazioni’ simboliche nei confronti del trauma e delle ombre franchiste.
È questo l’alleato che Feijóo potrebbe essere costretto a imbarcare per arrivare alla maggioranza parlamentare. Assolutamente senza entusiasmo, come ha fatto chiaramente intendere, sostenendo addirittura di non aver ancora capito cosa sia esattamente “Vox” (ma davvero?) e cosa voglia (ma davvero?). Ha quindi addirittura proposto ai rivali socialisti un “patto” di legislatura: chi vince fra i due partiti maggiori, cioè fra PP e PSOE, dovrebbe ottenere l’astensione parlamentare dell’altro. Mossa furbesca. Proposta rivolta, infatti, a un Pedro Sánchez che anni fa, prima di dare la scalata alla guida del socialismo iberico, si dimise da deputato proprio contestando un’intesa socialista con il partito conservatore. Offerta quindi inevitabilmente respinta da chi, il premier in carica, ha deciso di sparigliare le carte andando a queste inattese elezioni anticipate, nel tentativo di rovesciare i pronostici, e muovendosi in coalizione con “Sumar”, l’insieme di ben 12 sigle minori alla sinistra del PSOE, guidato da Yolanda Diaz, battagliera ministra del lavoro, che promette passi ancora più radicali nelle scelte per una maggiore equità sociale.
Due visioni nettamente contrastanti della politica e della società; voto il cui esito è seguito, anche temuto, in molte parti d’Europa. Un possibile anticipo della decisiva e difficile battaglia che fra un anno dovrà rinnovare il parlamento comunitario. Fra quella maggioranza popolar-socialista che ha finora avuto il governo dell’UE, e il nazional-populismo che questa alleanza spera ora di disarticolare e scardinare. Ipotesi di svolta assai pericolosa verso il prevalere dei soli interessi nazionali. Evidente minaccia al futuro europeo.
Nell’immagine: il leader del Partido popular Alberto Núñez Feijóo
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