Elezioncelle, politica di milizia, formule magiche e altri feticci elvetici
Siamo alla solita bolla autoreferenziale, i candidati di ogni partito sono impegnati a fare le scarpe ai propri colleghi
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Siamo alla solita bolla autoreferenziale, i candidati di ogni partito sono impegnati a fare le scarpe ai propri colleghi
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Siamo alla solita bolla autoreferenziale, i candidati di ogni partito sono impegnati a fare le scarpe ai propri colleghi
La prima – I maggiorenti dei partiti storici interpretano il concetto di Zauberformel come modalità di spartizione del potere, cioè (al solito) come una faccenda che concerne i posti a tavola, come se il Consiglio federale fosse una specie di ristorante trestelle, al quale si ha l’onore di essere ammessi solo per una sorta di malsana cooptazione, cioè un purgatorio di una lunghezza decisa proprio da coloro che dovrebbero cedere un posto nella stanza dei bottoni. Occorre ricordare, in specie a quelli che ogni giorno vi si appellano per proteggere i propri interessi, che la formula magica nasce dalla volontà, tutta di elvetica e pratica furbizia, di gestire i conflitti attraverso un patto istituzional-sociale, una condivisione della responsabilità per le scelte che ci mandano avanti, con conseguente parziale sterilizzazione delle tensioni sociali attraverso il consenso. Come è vissuta adesso, la Zauberformel non è invece altro che un galateo per poltronisti, una modalità di esclusione, perdendo tutta la sostanza che ha presieduto alla sua concezione. (paradosso)
La seconda – La qualità della classe politica non cessa di deludere anche lo spettatore più benevolo; la caricatura di campagna elettorale attualmente in corso lo conferma in pieno. Giunto da Marte, uno spettatore innocente sarebbe però stupito dalla presenza di parecchi “professionisti della politica… di milizia”, cioè giovani più o meno rampanti e sgomitanti, che si guadagnano la pagnotta con le cariche politiche o di partito, o al massimo con qualche fumoso incarico di “consulenza”. Gente che, diciamocelo, non ha mai avuto un lavoro vero, e che spesso meriterebbe che qualcuno li obbligasse a cercarselo. In buona sostanza, camuffandolo da attività svolta per altruistico spirito di servizio, stiamo allegramente sdoganando un sistema di politici di professione (cioè lo stesso che critichiamo quando lo vediamo dai nostri vicini), con il difetto di nominare spesso i peggiori, cioè quelli che non durerebbero un giorno nell’economia privata, sempre che riescano ad arrivarci. Uno dei (pochi) vantaggi della politica di milizia era quello di riuscire a portare nelle stanze del potere una visione concreta, una conoscenza vera degli uomini e delle cose; con questa “milizia” fasulla, si hanno solo i difetti e nessuno dei pregi. (paradosso)
Ma se anche vacche sacre come queste vengono così umiliate, non vi è motivo per ritenere che tante altre nostre belle certezze elvetiche non siano altro che slogan vuoti di senso, perfetti da utilizzare appunto in qualche campagna elettorale per happy few.
Ammantati dal consueto disinteresse dell’elettorato, si stanno intanto consumando gli ultimi focherelli della campagna elettorale per le Comunali ticinesi. Una campagna che non ha subito pregiudizi evidenti dai protocolli sanitari, se non la rinuncia a qualche barboso aperitivo sezionale, a qualche indigestissimo risotto con luganighe, o a qualche pseudo-evento dove ogni partito se la canta e se la suona davanti ai propri sostenitori doc, con un entusiasmo falso come un biglietto da sette franchi. Gli approdi pubblici in terreni non protetti, quali i dibattiti radio-televisivi, si sono svolti in un tripudio di slogan senza sostanza, di appelli al nulla, conditi da qualche scena muta e da parecchie figuracce; la scazzottata verbale tra “tenori” della politica luganese (Pelli e l’alcalde in persona, nervosissimo) è giunta ieri come una bella bibita rinfrescante, in mezzo a tanto nulla. E dire che le Comunali sarebbero il luogo in cui la politica del fare (e non del declamare) dovrebbe dare il proprio meglio. Insomma, siamo alla solita bolla autoreferenziale, in cui i candidati di ogni partito sono piuttosto impegnati a fare le scarpe ai propri colleghi, complice la sciagurata tendenza delle commissioni-cerca a riempire le liste di candidati, al di là delle concrete possibilità di eleggerli tutti.
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