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• 20 Aprile 2021 – Rocco Bianchi

I primi commenti all’esito delle elezioni comunali provano ad indicare vincenti e sconfitti, analizzandone cause e strategie. Inutile soffermarcisi troppo, anche se è giusto segnalare che pure lo spoglio dei Consigli comunali (al momento di scrivere mancano i risultati dei maggiori centri cantonali, Chiasso esclusa) confermano quelli dei Municipi: PLR al settimo cielo anche se arriverà una probabile botta da Lugano a smorzare gli entusiasmi, destra arrancante con più dolori che gioie (sia detto come spunto per un’ulteriore riflessione: che si stia confermando una svolta nella gerarchia tra Lega e UDC?), area di sinistra in buona salute anche se meno arrembante rispetto a un anno fa e PPD ai gironi infernali.

Sorprende in questo senso la comunicazione post ennesima batosta dei vertici di questo partito: perdi alle elezioni cantonali, perdi alle federali e perdi pure alle comunali, e tutto quello che si sa dire è “una volta si vince e una volta si perde” e come grande strategia per uscire dalla crisi  si indica la necessità  di “ripartire dal territorio”? In confronto il mitico “la palla è rotonda” è un capolavoro di filosofia analitica tattico-sportiva.

I due anni elettorali possono essere sintetizzati così: ha vinto chi ha dato un’immagine di sé nuova, disponibile al cambiamento e ad ascoltare le istanze della società (che poi questo sia reale o solo facciata è un altro discorso), ha perso chi invece si è presentato con gli abiti di sempre, forse impeccabili ma comunque dal sapor di naftalina.

Il caso di Lugano in questo senso è esemplare: il PPD ha tirato fuori dall’armadio Filippo Lombardi (e non dimentichiamo Beltraminelli per il CC); a breve termine una mossa vincente, nel senso che il seggio in Municipio, malgrado una lieve erosione delle preferenze, è stato salvato; a medio e lungo termine significa però bloccare per almeno quattro-otto anni il rinnovamento del partito, un passo che appariva e appare oggi più che mai necessario. Per di più – e qui parliamo di comunicazione politica in senso stretto – candidare un ex consigliere agli Stati e un ex consigliere di Stato aveva dato al partito una buona visibilità, una base di partenza ottimale che tuttavia non è stata sfruttata: ci si è limitati al compitino (cartellonistica, inserzioni sui giornali, “santini” e qualche articoletto sparso) dimenticandosi dell’essenziale, ossia immagine, strategie e contenuti. Vero che le elezioni comunali seguono una logica tutta loro, che sfuma le differenze di partito e di ideologia per privilegiare la componente personale e clientelare, pur tuttavia in una campagna elettorale anomala bisognava avere il coraggio (l’idea?) di provare strade nuove.

Discorso diverso anche se per certi versi simile per il PLR, che nella città faro del cantone, il suo più importante “feudo” cantonale fino a qualche anno fa, ha subito una scoppola storica, tanto che il presidente della sezione ha dato le dimissioni senza neppure aspettare i risultati del legislativo. Sbagliando, a nostro avviso, perché proprio grazie a questa sconfitta avrebbe potuto fare pulizia e iniziare quell’opera di rinnovamento che è stata bloccata da trent’anni e più di monarchia giorgiana (cui aggiungiamo quelli del suo patetico delfino). Perché non è un caso che l’ex partitone vince più o meno dappertutto e perde proprio in una sua roccaforte: altrove si sono da tempo portati aria fresca e uomini nuovi (non grazie a Speziali; l’operazione, diamogliene atto, l’aveva iniziata Rocco Cattaneo), a Lugano no. Una comunicazione senza una strategia chiara e lasciata più che altro all’iniziativa dei vari candidati (mi si permetta un plauso a Rupen Nacaroglu, uno dei pochi che in questo campo ha provato a smarcarsi) unita a dissidi e divisioni interne hanno poi fatto il resto. Che il PPD guardi e, se può, impari: arriverà comunque in ritardo, ma magari non fuori tempo massimo.

Vogliamo ancora parlare di comunicazione? Sia pure in difficoltà, la Lega a Lugano si è salvata in corner proprio grazie a una strategia che ha imposto all’attenzione dei cittadini i suoi temi: il muscolare sgombero del Molino e l’altrettanto muscolare imposizione del Polo sportivo e degli eventi al Consiglio comunale. E non solo li ha imposti, ma li ha pure saputi gestire e, quando necessario, rilanciare, con innegabile maestria. Il risultato? Cinque anni di amministrazione poco cristallina e trasparente e di pochi risultati dimenticati in un mesetto scarso: chapeau e sette più.

Un agire da furbetti del quartierino, certo, e che non nasconde il malessere che attraversa il movimento (si piange tuttora il fiuto politico, il carisma e la genialità di Giuliano Bignasca), malessere che potrebbe anche aumentare se i risultati del Consiglio comunale dovessero, come si vocifera e si teme in via Monte Boglia, essere di molto sotto le attese. “Se questo è perdere fateci sempre perdere così”, ha esultato sui social il figliolnano Boris. Fumo negli occhi del suo popolo, che dopo aver perso alle cantonali e alle federali mastica amarognolo pure alle comunali. Come il PPD (e chi vuol capire, capisca).

E la sinistra e i Verdi? In tempi di Covid e quindi di minor attenzione ai temi ambientali non ci si poteva forse aspettare di più, anche se forse una comunicazione più decisa, pure sui temi sociali, la si poteva fare. Ma qui mancano i mezzi, più che idee e strategie, oltre ai canali di comunicazione, che sui grandi media la visibilità è quella che è, e i social e i siti web sono tendenzialmente autoreferenziali e/o per addetti ai lavori. Insomma, o si trova un nuovo modo per diffondere le proprie idee, oppure la crescita, se mai ci sarà, sarà lenta.

Purtuttavia la loro avanzata è in parte assimilabile a quella delle schede senza intestazione (il terzo partito del cantone ormai) e delle liste civiche: sintomo dell’esistenza di un malessere e di un disincanto verso la politica tradizionale, sempre meno capace di idealità, visioni e progetti. In questo senso sia il PS e i suoi fratellini minori, sia gli ecologisti, tutte formazioni per molti aspetti ancora ideologiche ed “etiche”, rispetto ai rivali partono con un certo qual margine di vantaggio. A loro riuscire a sfruttarlo e trasformarlo dapprima in riflessione (anche di flebile respiro, purché ci sia!), poi in progetto e infine in consenso popolare.

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