Elly Schlein e gli ‘elefanti’ del PD
La giovane deputata di origine ticinese si appresterebbe a lanciare la sua candidatura alla guida di un PD sconfitto, paralizzato e lacerato dalle lotte correntizie: la proposta di un’alternativa radicale
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La giovane deputata di origine ticinese si appresterebbe a lanciare la sua candidatura alla guida di un PD sconfitto, paralizzato e lacerato dalle lotte correntizie: la proposta di un’alternativa radicale
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Condizionale ancora necessario. Infatti, incertezze e dubbi hanno accompagnato il suo progetto. “Forse non è il caso”, sembra abbia confidato ancora pochi giorni fa a un ‘papavero’ del partito. Tutt’attorno, la giovane neo-parlamentare ha visto alzarsi muri, scetticismo, manovre, calcoli, e anche affermazioni palesemente ostili. Tra le ultime in ordine di tempo: ‘non abbiamo bisogno di un papa straniero’. Non tanto riferito alla sua doppia nazionalità, bensì al fatto che Elly Schlein è stata eletta a Montecitorio sotto l’insegna PD pur non essendone un’ iscritta. Qualcosa di anomalo, dunque, apparentemente utile per aprire il ‘fuoco amico’ da parte di esponenti e potentati del PD, quelli che nel partito socialista francese, ormai inabissatosi nella massima inconsistenza politica e rappresentativa, venivano chiamati ‘les éléphants’, ingombranti e difficili da spingere fuori dalla ‘stanza’, quella del potere. In più, il pretesto dell’età: troppo giovane, e dunque troppo inesperta per ambire alla leadership del maggiore (ancora per quanto?) partito del centro-sinistra italiano. Un altro pretesto.
A 37 anni, ha soltanto otto primavere in meno di Giorgia Meloni. E alle spalle un percorso politico che, per intensità e risultati, non è assolutamente meno significativo di quello che fu della prima donna premier nella storia della Penisola ed ex ministro della gioventù, senza memorabili slanci, nella lontana e incartapecorita era berlusconiana, che alla fine del 2011 portò il paese sull’orlo del default. Elly Schlein è stata eurodeputata segnalatasi in particolare per l’impegno sul dossier migratorio, tutt’altro che imbarazzata nei confronti diretti con il Salvini ‘sbraitante’ ministro dell’interno (“assente dieci volte su undici a Bruxelles nelle riunioni dei suoi colleghi europei sul tema dell’immigrazione”, fu uno dei suoi taglienti rimproveri), miglior risultato personale nelle elezioni regionali che sottrassero l’Emilia Romagna all’assalto dell’allora ‘potente’ capo leghista, quindi vice-presidente della stessa Regione, e ora in parlamento. I dubbi non possono dunque essere relativi alla sua azione e visione politica, che tra l’altro si esprime nella capacità di aggregare e calamitare il voto giovanile.
Un PD a guida Schlein è evidentemente un’incognita. Del resto nessuno può scommettere che nelle sue competenze tattiche e nelle sue mani un partito paralizzato com’è oggi il PD possa essere rianimato, e trovare quell’introvabile oggetto del suo desiderio che è l’identità perduta e probabilmente mai davvero avuta (visto che si è ancora al prodotto della “fusione a freddo” fra post-comunisti e post-democristiani oggi maggioritari). Quello che sappiamo con certezza è invece che il progetto di Elly Schlein è decisamente alternativo rispetto a quello, o quelli, che il PD ha inanellato nella lunga stagione post-berlusconiana: oltre un decennio sempre partecipe del governo senza aver mai vinto nettamente un’elezione. Malato di governismo (sua patologia terminale); illusosi di poter campare sull’idea di un ‘draghismo senza Draghi’; sempre più incapace di recuperare il voto popolare e operaio nonché dei più socialmente sfavoriti; e moltiplicatore di scissioni e di correnti interne che esprimono più ambizioni personali che indirizzi politici davvero alternativi.
Che siffatto organismo, vivacissimo solo nell’organizzare la propria condanna, e se l’apparato degli inamovibili ‘éléphants’, possa accettare di farsi guidare da un’idea radicalmente alternativa (la doppia, netta e contemporanea “giustizia, sociale e ambientale”) è difficile crederlo. Del resto, un’altra anomalia è visibilissima: i due candidati in testa nei sondaggi interni sono il presidente e la vice-presidente della stessa Regione, Stefano Bonaccini e appunto Elly Schlein. Paradossale. Anche perché mentre il corpaccione del partito predica (a parole) una netta svolta a sinistra, anche per evitare una sorta di OPA politica sul PD da parte dei redivivi Cinque Stelle, il favorito Bonaccini è l’espressione del riformismo renziano. Brutta contraddizione. Perfetta premessa per altre e improduttive ambiguità. Una candidatura Schlein dovrà scartarla con nettezza. Presentarsi per ciò che è e per ciò che propone. Raccogliendone i risultati sotto i gazebo delle primarie. Anche se non bastassero. Anche se si rivelassero solo il primo passo di un cammino ben più lungo e impegnativo.
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