Emergenze ambientali e caso Mormont
L’irruzione della polizia non può cancellare il messaggio di un’occupazione pacifica
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L’irruzione della polizia non può cancellare il messaggio di un’occupazione pacifica
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L’irruzione della polizia non può cancellare il messaggio di un’occupazione pacifica
I guardiani della collina se ne sono andati. Le attiviste e gli attivisti che dallo scorso mese di ottobre hanno occupato la collina del Mormont, nel Canton Vaud, per proteggerla dall’estensione di una cava sono stati sgomberati da un massiccio intervento della polizia. Un’operazione ordinata dalla Consigliera di Stato Béatrice Métraux che si è trovata nella scomoda posizione di essere alla testa del dipartimento che gestisce sia l’ambiente che la sicurezza. Ancor più scomodo, per Béatrice Métraux, è il fatto che in seno al Governo vodese rappresenta il partito dei Verdi, la cui sezione giovanile cantonale ne ha chiesto le dimissioni accusandola di “immobilismo e pessima gestione” sul dossier Mormont.
Al di la delle quisquilie politiche e della cronaca di uno sgombero definito “pulito”, ma dietro cui si celano comunque alcune zone d’ombra, le considerazioni da fare sono altre.
L’azione di protesta è la prima in Svizzera basata sul modello della Zad, acronimo per Zone à défendre (Zona da difendere). Le attiviste e gli attivisti che hanno occupato la collina in ottobre, instaurando una sorta di villaggio alternativo sul plateau de la Birette – destinato ad essere divorato dalle ruspe della Holcim per prolungare per al massimo sette anni una cava di calcare ormai giunta nella sua fase finale – hanno posto importanti quesiti di società. Al di là dell’eco mediatico dovuto all’evacuazione, in questi mesi l’azione degli zadisti ha avuto un grande merito: mettere l’accento sull’industria del cemento, sul suo impatto sull’ambiente e sulla nostra eccessiva dipendenza dal beton. Il settore, dominato a livello globale dagli svizzeri di Lafarge-Holcim (proprietari della cava del Mormont), è uno dei più inquinanti, nel mondo come in Svizzera: i più grandi diffusori di CO2 della Confederazione sono tutti dei cementifici i cui forni accesi a 1450 gradi fondono il calcare con la marna per creare appunto il cemento. Una situazione che pone interrogativi a tutti noi, ad un nostro modo di costruire, di abitare, di (non) riciclare che deve essere messo in discussione. Le alternative, è stato ribadito in questi mesi, ci sono: riciclaggio, l’utilizzo di altri materiali a partire dal legno, una pianificazione più intelligente eccetera.
Il dibattito, nel Canton Vaud, è ormai aperto. E questo è senza dubbio il primo merito degli zadisti: l’aver suscitato una discussione, alimentata dai contributi di importanti personalità del mondo universitario losannese – tra cui il premio Nobel della chimica Jacques Dubochet – che hanno ribadito l’urgenza di cambiare paradigma. Un’urgenza che l’azione diretta e pacifica degli zadisti ha messo sotto gli occhi di tutti.
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