Ex macello: i poliziotti non credono all’azione autonoma
Il malumore serpeggia per come la faccenda è stata gestita dai superiori e dalla politica
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Il malumore serpeggia per come la faccenda è stata gestita dai superiori e dalla politica
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Il malumore serpeggia per come la faccenda è stata gestita dai superiori e dalla politica
Non siamo a poliziotti sull’orlo di una crisi di nervi, ma di sicuro fra le fila degli agenti il malumore serpeggia assai. Sgombriamo ogni dubbio: non per quanto fatto sabato 29 maggio – praticamente nessuno ha mostrato comprensione per le ragioni dei molinari – ma appunto per come è stata gestita la faccenda dai loro superiori e, soprattutto, dalla politica. E così diversi parlano e si sfogano, ovviamente a condizione che venga loro garantito l’anonimato più assoluto.
Andiamo con ordine. Prima pillola per loro indigesta, i rinforzi vodesi, inutili per molti. “Hanno organizzato la giornata come se dovessimo affrontare chissà che – ci ha spiegato un agente – quando sapevamo benissimo che sarebbero stati due o trecento al massimo (i dimostranti, ndr.), di cui pochi potenzialmente violenti”. Un eccesso di prudenza da parte di Municipio e vertici di polizia che non è andato giù a tutti, poiché “se non riusciamo a tenere sotto controllo da soli una manifestazione del genere, abbiamo sbagliato mestiere!”, ha sbottato un altro. O i vertici non li ritengono abbastanza preparati per adempiere a questo compito, si chiedono borbottando i più?
Ma cosa è veramente successo quel sabato? Secondo più testimoni la polizia sapeva benissimo che dopo la manifestazione alcuni ragazzi avrebbero occupato (simbolicamente e temporaneamente secondo i molinari) lo stabile della Fondazione Vanoni in via Simen. Del resto impossibile che non lo sapesse, visto che ne parlava tutta la piazza. Dunque ne saranno venuti a conoscenza anche gli agenti infiltrati tra i manifestanti – tutti i nostri interlocutori danno per certo che ci fossero – e che di conseguenza avranno riferito a chi di dovere cosa bolliva in pentola.
Perché allora non prevenire l’occupazione, magari piantonando con qualche agente l’edificio Vanoni prima dell’arrivo dei dimostranti? Perché, così ci è stato spiegato, “l’ordine era di intervenire solo in caso di comprovata necessità”, ossia a cose avvenute. E così è stato. Nessuno si spinge a dire che il casus belli è stato creato apposta, o è stato lasciato creare, ma molti affermano che si poteva agire altrimenti, prevenendo l’occupazione più che reagendo ad essa.
Alcuni, sia detto per onestà di cronaca, hanno comunque giustificato o per lo meno mostrato comprensione per quanto fatto (o non fatto, a seconda dei punti di vista) dai superiori spiegandoci che è molto meglio contenere e bloccare qualcuno in un edificio che impedirgli di entrare e magari scatenare una risposta violenta in strada. Sarebbe insomma stata applicata la regola del supposto minor danno. Plausibile, ammettiamolo.
Poi vi sono stati lo sgombero e la demolizione dell’ex Macello, e qui le cose si ingarbugliano e le bocche in alcuni casi si tacciono o parlano per sottointesi (in fondo, indicativo anche questo). Tutto sommato però la sequenza degli avvenimenti è chiara. “Abbiamo ricevuto l’ordine di sgomberare lo stabile, abbiamo chiesto e ricevuto conferma e abbiamo fatto quello che dovevamo fare senza praticamente alcun serio problema”, così il racconto sintetico di un agente sul posto. Ordinaria amministrazione, insomma.
Senonché uno dei poliziotti presenti ci ha detto che a sgombero avvenuto è stato loro raccomandato di tenere alta l’attenzione, “perché il bello deve ancora venire, ho sentito dire a un certo punto (o una frase del genere). Allora ho pensato che si aveva paura del ritorno dei molinari, che avrebbero tentato di rientrare magari con la forza, ma adesso non ne sono più così sicuro, anche se voglio crederlo”. Purtroppo per lui, le informazioni emerse in queste ultime settimane lasciano poco spazio alla sua speranza.
La frase sentita dal nostro agente sarebbe comunque un ulteriore tassello a dimostrazione che la polizia aveva preparato la demolizione dello stabile. La domanda quindi è sempre la solita, quella cui un giorno speriamo sia data una risposta definitiva: ha agito in modo autonomo, scavalcando tutto e tutti, oppure per ordine dell’autorità politica, qualunque essa sia?
Nel corpo la prima ipotesi scatena lo sdegno, riassunto in modo esemplare e molto diretto da un ex graduato in pensione: “Nel corso della mia carriera non ho mai avuto una grande considerazione dei vertici (del corpo, ndr.), ma una cosa del genere non posso neppure immaginarla: per me è impossibile che abbiano agito senza un ordine diretto! Bisognerebbe essere davvero c… per farlo!”.
Per lui, e per tutti gli agenti che hanno parlato, vi è un’unica certezza, cui si aggrappano quasi disperatamente: tutti obbediscono agli ordini che qualcuno ha dato, e questo vale – deve valere – sia per i capi che per l’ultimo arrivato. La catena di comando e la sua intrinseca correttezza non possono essere messe in discussione, pena la frantumazione dei fondamenti e dell’etica su cui si basa il corpo di polizia. Qualsiasi corpo di polizia.
Del resto è cosa nota che vi sono state riunioni preparatorie tra il Municipio di Lugano e la polizia, ed è per loro evidente che in queste riunioni “per principio e prassi – è sempre il nostro ex graduato che parla – tutte le opzioni vengono messe sul tavolo e tutti gli scenari valutati”. Tutti? “Tutti, anche i più improbabili”. E qui si tace.
Insomma, secondo i numerosi agenti interpellati l’ordine di demolire l’ex macello può essere stato dato e/o avallato solo dai diretti superiori dei loro capi: i politici. Fermi alla versione data dal Municipio il giorno dopo la demolizione (un’operazione pianificata benissimo e portata a termine con rigore e competenza, dichiarò il sindaco prima che iniziasse il valzer delle versioni), la maggioranza dei nostri interlocutori è convinta che le cose siano andate così: l’ordine di demolire l’ex macello è stato preso in pieno accordo con l’autorità politica, perché appunto “i politici non potevano non sapere”.
Questione anche di credibilità. “Se si scoprisse che siamo noi i primi a violare le regole, con che faccia vado a sanzionare le persone che commettono un’infrazione?”, si è infatti chiesto un agente. Bella domanda; questa pure attende una risposta.
Impossibile naturalmente, dato il silenzio stampa generale (Municipio, capo del Dipartimento cantonale delle istituzioni e vertici della polizia), sapere quando le riunioni preparatorie per l’ex macello si siano tenute, cosa è stato detto e chi vi abbia partecipato. Alcuni impiegati dell’Amministrazione comunale ci hanno comunque spiegato che la prassi prevede che vi partecipino il o i municipali interessati, i capiufficio e i tecnici necessari (eventualmente altre persone esterne) e in casi particolari – e questo nessuno ha il dubbio che lo fosse – il sindaco. Dunque sicuramente Michele Bertini prima e Karen Valenzano Rossi poi assieme ai vertici della polizia comunale e di quella cantonale (e/o alle persone da loro delegate in comando), molto probabilmente il sindaco. Altri non si sa. Anche su questo si attendono delucidazioni.
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