Fiscalità lib-lib, una storia vecchia, anzi muffissima
Gli sgravi per i super-ricchi sono un sintomo preoccupante di mancanza di progettualità
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Gli sgravi per i super-ricchi sono un sintomo preoccupante di mancanza di progettualità
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Gli sgravi per i super-ricchi sono un sintomo preoccupante di mancanza di progettualità
Ormai strutturalmente insonne, ho avuto tutto il tempo per leggermi i commenti alla proposta lib-lib di progressivi sgravi per i contribuenti più ricchi; a partire dal prevedibile e acritico entusiasmo del prezzolato cronista muzzanese, già a muso duro contro gli oppositori, a qualche riflessione più intelligente e articolata, financo dubitosa.
Non mi sorprende la proposta liberale, che è fotocopia di quella che qualche anno fa formulò tra qualche pernacchia la destra-destra del fu valletto della consigliera e dell’economista di ultimo banco (sì, lui, quello che voleva il salario minimo solo per i residenti); l’aria che tira è quella, cioè del liberismo puro e duro, e con tanti saluti per gli alt(r)i valori liberali. Dalle ragnatele del cassetto delle idee si è tolta la solita cosa, cioè la rinuncia a un gettito sicuro (almeno una quarantina di milioni l’anno, tra Cantone e Comuni, anche se per questi ultimi e per tutti i loro contribuenti è in agguato l’aumento del moltiplicatore) per inseguire un vantaggio assai incerto, cioè l’afflusso di ricconi attirati da una tassazione in linea con la media svizzera; vedendo proposte di questo genere, la mente corre alla famigerata riforma fiscale delle imprese III, che aveva modalità e obiettivi simili ma che determinò un bagno di sangue miliardario a livello di gettito, in quanto il futuro non fu di certo quello che si prevedeva sarebbe stato. Aggiungo però che cercare di attirare imprese, o di non farle emigrare, mi parrebbe in sé obiettivo più ragionevole e saggio (perché con potenziali effetti strutturali per l’economia, per l’occupazione) che non quello di cercare di attirare qui qualche miliardario, mobile e volubile per definizione e comunque in grado di trovarsi lidi fiscalmente assai più favorevoli del Ticino; e qui al massimo venirci in vacanza, se è in deficit di fantasia.
In buona sostanza, temo che la proposta servirà soprattutto a favorire coloro che sono già grossi contribuenti ticinesi, quindi con nessun effetto positivo sul gettito; i liberali sono sicuri del fatto loro, di certo pensano anche alla loro, di pagnotta, e a quella della loro clientela attuale, e magari futura. Uno dei promotori ha addirittura cercato di venderci, in video, l’idea balzana (e di futuro ancora più incerto) secondo cui il riccastro approdato in Ticino vi porterebbe anche la sua azienda, con effetti sull’occupazione. Pretesti e chiacchiere sciorinati in libertà, tanto non costa nulla, a nessuno potrà essere rimproverato un futuro non all’altezza di entusiastiche previsioni: si troveranno sempre motivi e fatti che, adeguatamente addomesticati, giustificheranno il fallimento delle ottimistiche previsioni. E intanto, ad altri il compito di raccogliere e di mettere insieme i cocci; sulle spalle dei soliti, beninteso, classe media in testa.
Scontata l’opposizione di trincea della sinistra, e gli altri partiti della galassia del centro-destra? Detto della Destra gongolante, la Lega affida al cervellone (che, complice l’estate ballerina, ha sostituito il trois pièces nuziale d’ordinanza con una specie di sahariana nordalpina) il compito di puntualizzare che la proposta – che costui ben si guarda dal commentare – deve essere inquadrata in un progetto più ampio che preveda altri sgravi; mentre un maggiorente democristiano, richiesto di esprimersi sul tema, riesce a lamentosamente lagnarsi per il fatto che la loro proposta socialissima di riduzione delle imposte di… circolazione sia ancora al palo, come se questa cosa c’entrasse qualcosa con quell’altra. Insomma, imbarazzo, attendismo e confusione al loro massimo.
Ma c’è una cosa più preoccupante. Questa proposta liberale è un’ulteriore, e assai inquietante, conferma dell’incapacità di un partito, pur con questa storia e con questi valori ideali, di esprimere autentica e operativa progettualità in relazione al territorio. In effetti, ci si limita a stancamente riproporre qualche stantia ricettina dall’esito incerto, ma che muove sempre dalla volontà di beneficiare di una rendita di posizione, e nello specifico di ricchezze create altrove e senza alcun radicamento socio-economico. Sintomo del permanere, dello sclerotizzarsi, di una mentalità vecchia e muffa, parassitaria, figlia (meglio: nipotina) di un tempo – che molti ancora vorrebbero rinascesse – in cui lucrammo allegramente sulla ricchezza generata altrove e da stranieri, su fattori esterni ed esteri quali l’incertezza politica, la fiscalità e l’evasione fiscale, senza essere noi obbligati a realizzare nulla di indigeno, di autoctono, e beneficiando di un benessere che fu ben poco giustificato da nostri veri meriti.
Sul fronte della progettualità, e come ripetutamente ho detto, encefalogramma piatto, visioni e progetti zero virgola zero; vale per tutti i partiti, nessuno escluso. L’esempio del turismo è illuminante; mentre attorno a noi le regioni investono e si attrezzano per creare emozioni e occasioni, una cultura vera dell’accoglienza, qui siamo ancora alla mera vendita delle montagne e dei laghi (di cui beneficiamo senza merito e senza sforzo, per dono della natura e per puro culo), o di quelle che pomposamente definiamo “eccellenze eno-gastronomiche”, come se bastasse questo per nutrire la vocazione turistica che costituisce una delle poche autentiche opportunità del territorio.
Ovviamente, dopo le buone idee occorrerebbe anche che lo Stato potesse mobilitare i mezzi finanziari per realizzarle, facendo dell’ente pubblico un motore dell’economia privata; ed è probabilmente la sotterranea coscienza che nulla di decente uscirà dalla spremitura di pur augusti cervelli che fa dire ai liberali che l’unico modo per accedere al benessere è di continuare a sfruttare economicamente la ricchezza prodotta altrove da idee e da ingegno altrui. Un calcolo che ha funzionato bene per decenni; ma che, a termine, rischia di lasciarci a piedi.
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