La sfiducia che minaccia il sogno di Xi Jinping
Le minacce all'Occidente non nascondono le crepe del sistema cinese: disinteresse dei giovani, suicidi, paura
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Le minacce all'Occidente non nascondono le crepe del sistema cinese: disinteresse dei giovani, suicidi, paura
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Le minacce all'Occidente non nascondono le crepe del sistema cinese: disinteresse dei giovani, suicidi, paura
L’insolito discorso combattivo di Xi Jinping, l’ostentazione di forza visti il 1. luglio a piazza Tiananmen in occasione dei 100 anni del partito comunista cinese (PCC), sono per molti la prova della crescente fiducia della Cina in sé stessa e nel proprio operato, di fronte alle critiche e alle pressioni del mondo. Per altri è invece un segnale del bisogno di flettere i muscoli e galvanizzare il suo popolo, le giovani generazioni in particolare, che stanno perdendo interesse nel partito.
Il partito comunista cinese aveva solo 13 membri nel 1921, quando venne fondato; ne conta oggi 95 milioni e controlla in pratica ogni aspetto della vita all’interno del Paese. Fatti che non dovrebbero preoccupare chi sta al comando, invece per alcuni analisti uno degli elementi più indicativi del discorso di Xi è stato l’appello ai giovani affinché sostengano gli obiettivi nazionali, in un momento in cui la mancanza di ambizione e di partecipazione alla vita pubblica, allarma Pechino.
All’inizio del 2021, il Ministero della Pubblica Istruzione ha lanciato una campagna educativa con l’obiettivo di rafforzare la fedeltà dei giovani al partito. Sono ben precise le linee guida nel curriculum delle scuole primarie e secondarie. Un’iniziativa che tradisce una certa ansia per la conservazione dei cosiddetti “geni rossi”, delle credenziali rivoluzionarie e della legittimità del partito.
Non ci sono dubbi che negli ultimi 40 anni, il PCC abbia migliorato il tenore di vita del popolo più di qualsiasi altro governo in 4.000 anni di storia cinese. Il gigante orientale ha una classe media di 300-400 milioni di persone. Per questo il sostegno per le autorità rimane alto, ma ci sono crepe nel sistema, che preoccupano il Presidente Xi Jinping, anche Segretario Generale del partito.
Con un tasso di natalità in declino, la crescita economica incerta e la frustrazione per lo stress accumulato durante la ricerca di una “vita migliore”, molti giovani hanno perso fiducia nel partito. Pochi sanno che in Cina il tasso di suicidi o di tentati suicidi è tornato ad alzarsi, specialmente tra i giovani. Le pressioni scolastiche e professionali sono tra le cause principali ed indicano un disagio profondo, in contrasto con quella prosperità senza precedenti, celebrata da Xi.
Malgrado la forte censura che impedisce di sapere quale sia la vera storia del partito o cosa succeda dentro e fuori il Paese, le nuove generazioni sono sempre più informate e consapevoli delle possibilità e dei valori che esistono altrove. C’è anche malcontento per l’inasprimento della sorveglianza sotto il controllo di Xi, che continua ad accumulare potere. I suoi pensieri sono stati incorporati nel partito e abbandonando il tradizionale mandato di leadership di dieci anni, ha distrutto la fiducia nello stesso sistema.
Sono i giovani che per mesi hanno sfidato Pechino nelle strade di Hong Kong, così come furono i giovani a chiedere riforme politiche nel 1989, un confronto che sfociò nel massacro di Piazza Tiananmen, che la Cina ha cancellato da tutti i libri di storia. Ecco perché c’è il bisogno di “metterli in riga”, prima che possano ribellarsi agli ideali con cui Xi intende continuare a governare.
Se il partito ha cercato di fare appello all’idealismo giovanile, a fare notizia in Occidente è stato il monito rivolto al mondo: “Chi farà il bullo con noi troverà una grande muraglia d’acciaio forgiata da 1,4 miliardi di persone” ha detto Xi, in un chiaro riferimento agli Stati Uniti, con cui le tensioni rimangono alte. I media internazionali si sono soffermati su queste parole per ricordare il pericolo e le contraddizioni del gigante cinese, basti pensare a quanto avviene a Hong Kong o alle ostilità con Taiwan.
L’ascesa della Cina rimane fonte di ansia per l’Occidente. La retorica anti-cinese di Donald Trump, che ha spesso rasentato il razzismo, è stata sostituita dal tono più costruttivo di Joe Biden, ma gli attriti di fondo rimangono sulle questioni di potere e sulla visione del mondo. Rimane il mistero attorno al Presidente cinese, così come la mancanza di fiducia, una parola chiave sia nelle relazioni esterne, che nelle dinamiche interne.
La Cina è sulla buona strada per diventare dominante a livello economico e forse anche militare. L’Occidente pensava che tale crescita sarebbe stata accompagnata dalla liberalizzazione politica, ma le parole di Xi, il tono e tutti i simbolismi dell’evento, a cominciare dall’abito in stile Mao, confermano quanto l’Occidente si sia sbagliato su questo punto.
Nella Cina di Xi, il sistema è plasmato dalla paura, non dalla fiducia. Sebbene Pechino usi parole forti contro i suoi detrattori, è forse più preoccupata della potenziale sfiducia dei suoi giovani, che di quella dell’Occidente, che ha bisogno del mercato cinese.
È difficile sapere se il discorso di Xi Jinping abbia convinto i giovani scettici che vuole fidelizzare o rischia di giocare contro la sua guida e quindi la realizzazione del suo sogno: una Cina invincibile e riunificata, con Macao, Hong Kong e Taiwan sotto il governo diretto di Pechino entro il 2049.
Immagine: reinhold möller CC-BY-SA
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