Ecco la guerra dei due mondi
L’escalation e due discorsi, con i contrapposti e inconciliabili “vangeli” di Putin e Biden su valori e futuro assetto mondiale
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L’escalation e due discorsi, con i contrapposti e inconciliabili “vangeli” di Putin e Biden su valori e futuro assetto mondiale
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L’escalation e due discorsi, con i contrapposti e inconciliabili “vangeli” di Putin e Biden su valori e futuro assetto mondiale
Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole
Una guerra, due mondi. Mai come al termine del primo anno di conflitto in Ucraina, il nuovo ‘scontro di civiltà’, tragicamente in corso in terra europea, era stato così plasticamente accertabile e inquietante. È successo ieri. È accaduto con i discorsi ‘ravvicinati’ di Putin e di Biden, quasi contigui anche geograficamente: dal Cremlino il primo, il secondo davanti al castello di Varsavia. Non che i duellanti abbiano affermato idee, programmi, strategie finora inespresse. Ma è proprio il contemporaneo raffronto delle due antitetiche posizioni degli unici due leader indispensabili in un percorso che segni l’eventuale uscita dalla guerra (chissà come, chissà quando, chissà in quale contesto) a dare tutta la misura della drammatica e pericolosa distanza ideologico-strategica fra Mosca e Washington. In un contesto di escalation che segna, come è stato sottolineato, “la fine di mezzo secolo di sforzi preventivi contro l’apocalisse nucleare”, di fronte alla decisione di Putin di sospendere il trattato “Start” sulla limitazione e il controllo reciproco dei rispettivi arsenali strategici.
Una lettura apocalittica, un po’ fuori misura, visto che già quattro anni fa Donald Trump (che pure definì “geniale” il presidente russo nelle prime ore dell’invasione dell’Ucraina) aveva già rottamato unilateralmente l’INF, l’accordo del 1987 per la riduzione della gittata dei missili intercontinentali basati a terra, di quelle che allora erano le due super-potenze. Sta di fatto che l’annuncio di Mosca non getta acqua sul fuoco della più pericolosa crisi internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale. Comunque, nell’aspro duello a distanza tra i due presidenti è confermato l’approdo finale e conclusivo del sistema internazionale, di “confronto vigilato”, che andava sotto il nome di Yalta.
In terra di Polonia – diventata, nonostante il carattere illiberale della sua democrazia, il baluardo a est della Nato – il capo della Casa Bianca, reduce dal viaggio a sorpresa a Kiev, ha nuovamente sfoderato l’argomento o la retorica del “mondo libero”, messo alla prova dall’aggressività non solo dell’autocrazia russa bensì delle dittature che considerano ‘obsoleti, inadeguati e fragili” i sistemi liberal-parlamentari, con un esplicito messaggio rivolto dunque anche alla Cina, “alleato senza limiti della Russia” ma, visto da Washington, anche principale concorrente e sfidante ‘sistemico’ dell’Occidente a guida americana.
Quindi, la faglia non è soltanto sotto la ‘cortina d’acciaio’ che nuovamente divide l’Europa, ma si estende a due concezioni in conflitto della filosofia politica e quindi della pratica politica: in cui sta emergendo e si sta allargando un blocco autoritario se non neo-fascista, teorizzato (indicando come capofila la Russia putiniana) dal filosofo sloveno Slovoj Žižek. Minaccia per il pur imperfetto, e diffusamente incompiuto, sistema di valori occidentali. Di cui oggi l’Ucraina aggredita è simbolo nella sua guerra di sopravvivenza, combattuta con armi Nato, ma anche con un braccio legato dietro la schiena, vista la proibizione e l’impossibilità di colpire a sua volta il territorio russo: “puro terrorismo”, ha tuonato il Cremlino le poche occasioni in cui è avvenuto, mentre non sarebbe terroristico il metodo della ‘terra bruciata’ e dei cannoneggiamenti sui civili da parte dell’Armata di Putin.
In contrapposizione, dal palazzo del potere moscovita, l’ intervento in cui il presidente russo, servendosi anche di evidenti forzature storiche e analitiche sui motivi della sciagurata decisione di invadere l’ex ‘piccola Russia’ (come un tempo era definita l’Ucraina), ha soprattutto riepilogato i motivi per cui una nazione che storicamente si sente circondata-minacciata, e che dai tempi zaristi ha sempre avuto “due anime” (la pro-asiatica e la filo occidentale) ha deciso la scelta dell’ “Eurasia”, che comporta un’autarchia aggressiva e la costruzione di un muro impenetrabile contro il contagio occidentale: da qui, e di nuovo, anche l’inquietante giaculatoria contro un mondo occidentale che permette l’omosessualità e che si appresterebbe addirittura a “legalizzare la pedofilia”. Quindi la convinzione putiniana – smentita da molti studi – che l’obiettivo principali degli Stati Uniti sia l’annientamento-smembramento della Russia, eventualità di un caos di tipo balcanico e nucleare costantemente vista come un grande pericolo dalle parti più serie, e finora prevalenti, delle amministrazioni americane. “Esistenziale” e “anti-nazista”, è comunque il marchio inciso dal neo-zar su questo scontro anche e soprattutto armato: propagandisticamente assai utile per la compattezza dell’opinione pubblica interna e per il futuro della sua leadership.
È questa inconciliabilità delle due istantanee emerse ieri, quindi dei “due mondi” mai così contrapposti e in tensione, che sta la principale minaccia, per tutti. Quanto ricomponibile? Una via l’ha indicata, seppur nella sua tortuosità e nelle sue incognite, il lucido intervento del filosofo Habermas, che Naufraghi/e ha pubblicato proprio nella giornata del preoccupante duello a distanza Putin-Biden, e che invitiamo a leggere. Duello in cui si inserisce un potere cinese che fin dall’inizio allarga ulteriormente il fronte delle contrapposizioni. Il capo della diplomazia di Pechino, Wang Yi, è in queste ore a Mosca. Latore, sembra, di un “piano di pace”. Sembrerebbe la ricerca della quadratura del cerchio, e occorrerà vedere quale calcolo cinese prevarrà: da una parte il regime di Xi Jinping ha sicuramente interesse a riattivare i suoi obiettivi economici globali, ma dall’altra potrebbe nutrire un interesse anche maggiore verso la continuità di uno scontro che impegna e ‘distrae’ gli Stati Uniti dal braccio di ferro con l’Impero di Mezzo, che va dalla ferita di Taiwan alla supremazia nella presente e futura competizione economico-tecnologica.
Sta di fatto che nella sfida cristallizzatasi nella data da antologia storica che è stato il 21 febbraio 2023, quindi nei due contrastanti ‘vangeli’ snocciolati a Mosca e Varsavia, la parola meno pronunciata è stata “pace”. In un contesto di guerra fredda ampiamente e pericolosamente superata, visto che “fredda” non lo è affatto.
Nell’immagine: sull’orlo del baratro (dall’incontro Biden-Putin di Ginevra nel 2021)
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