“
Mi sarebbe piaciuto molto suonare. Come mi sarebbe piaciuto disegnare, dipingere” scriveva Giorgio Orelli in
Quasi un abbecedario, uscito postumo (sempre per Casagrande) nel 2014, delizioso libricino-guida all’autore scritto insieme a Yari Bernasconi. Desiderati, ma mai praticati, il disegno e la pittura – annota il curatore di questo volume – restano tali, se non in due episodi del tutto occasionali: il primo nel 1951, il secondo alla fine degli anni Cinquanta. In questo assai diverso, per esempio, da Eugenio Montale (anch’egli molto attento alle arti figurative), ma che con pennelli e matite ci sapeva fare pur definendosi “
pittore della domenica e incompetente critico”.
L’interesse di Giorgio Orelli per le arti figurative e asemantiche (sua la definizione) nasce e si rafforza tra il 1940 e il 1943, negli anni di studio all’Università di Friburgo (dove si laureò, peraltro non in letteratura italiana, bensì in storia). Lì Orelli fu felicemente influenzato da Gianfranco Contini, titolare della cattedra di filologia romanza che, nel proprio insegnamento, ma soprattutto nella sua attività pubblicistica, apriva spesso anche a quelle discipline (scrisse, per esempio, di Gonzato, di Pietro Salati, di Marino Marini). Lo stesso humus friburgensis nutrì altre personalità di quella generazione che nella città sulla Sarine si sono formate e sono successivamente rientrate in Ticino: tra loro Romano Broggini, Adriano Soldini, Giovanni Pozzi, Fernando Bonetti; personalità tutte molto attente, nelle loro rispettive attività e funzioni, a pittori e scultori del nostro Cantone, che hanno accompagnato fedelmente lungo il loro cammino. Sulla tela di fondo di questa antologia degli scritti che Orelli ha dedicato all’arte si muove, discreta ma ben presente, anche un’altra personalità centrale nella vita culturale ticinese di quegli anni: Giovanni Battista Angioletti, che a Lugano fondò, nel 1941, il Circolo italiano di lettura, creò la pagina letteraria del Corriere del Ticino e, nel 1942, il Premio Lugano.
Il libro che qui presentiamo contiene, pubblicati in ordine cronologico di apparizione – dal 2 novembre 1950 al 2013 (Catalogo della mostra I paesaggi di Carrà proposta dal Museo d’Arte di Mendrisio) – 35 scritti destinati a giornali, riviste, cataloghi di mostre e presentazioni, tutti brevi, dedicati ad alcuni tra i più noti artisti ticinesi del Novecento: una raccolta che esclude altri interventi legati agli “asemantici” che Orelli scrisse per la radio, la televisione e in occasione di presentazioni, conferenze, ricordi. Per recuperarne la completezza, si consulti la preziosa Bibliografia curata da Pietro Montorfani in collaborazione con Yari Bernasconi (Edizioni Cenobio, 2014).
Scorrendo i nomi degli artisti affrontati da Orelli e notando, tra altre, la significativa assenza di Felice Filippini e di Edmondo Dobrzanski, il nucleo di cui egli si occupa è numericamente limitato: Ubaldo Monico, Giovanni Genucchi e Massimo Cavalli (i più ricorrenti), Filippo Boldini, Pierino Selmoni, Giuseppe Bolzani, Alberto Salvioni, Mario Marioni, Cesare Lucchini, Renzo Ferrari. Con quasi tutti gli artisti che ha recensito lungo l’arco di oltre mezzo secolo, l’autore nutriva rapporti di amicizia e di frequentazione diretta. Orelli – spiega ancora il curatore di questa raccolta – frequentava i loro ateliers; per Bolzani posò addirittura in un murale del 1952 tuttora visibile sulla parete dell’Aula Magna della ex Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona, dove i più attenti riconoscono la figura di Orelli in costume da bagno.
Quando iniziò a scrivere d’arte, Giorgio Orelli non aveva ancora 30 anni: la prima recensione è di una mostra che Monico tenne al Circolo di Cultura di Lugano, pubblicata su Il Dovere. 33 anni più tardi, confermando la propria fedeltà all’artista e all’amico, con cui aveva prestato servizio militare sul San Gottardo, ne traccia un affettuoso ricordo in cui – caratteristica presente anche in molti altri scritti in volume – si mescolano e si confondono ricordi e aneddoti (auto)biografici che non impediscono ad Orelli di dare anche un suo personalissimo giudizio artistico. Il brano Per Ubaldo Monico (pp. 101-102) è esemplare di questa commistione-compresenza di ricordi privati e osservazioni sull’opera degli amici di cui scrive. Altro approfondimento meriterebbero la forma, la scrittura, il lessico orelliano: quante volte ritroviamo, in questi testi, parole, colori, paesaggi che Orelli disegnava, dipingeva, ritraeva (con scarti temporali più o meno lunghi) anche nei suoi versi.
L’Orelli che scrive d’arte non si atteggia a critico o ad esperto. “L’ approccio ermeneutico di Orelli, che asseconda un orientamento alternativo a quello della critica ufficiale, tende a una sintesi contenutistica e stilistica degli autori studiati, riducendo al minimo i riferimenti puntuali a quadri, incisioni e sculture. Condizionato dalle occasioni redazionali e mosso a prudenza in quanto non addetto ai lavori, i suoi commenti propongono considerazioni generali (ma non generiche) e lasciano ampio spazio, specie negli scritti più tardi, alla dimensione aneddotica, la quale è spesso interpretata in prospettiva esegetica: è riconosciuto l’uomo nell’opera e viceversa”, osserva Morinini cogliendo perfettamente nel segno.
Dal prezioso libro appena pubblicato emerge una fitta, anche se non vastissima, rete di rapporti tra Giorgio Orelli e gli amici artisti, tanto sul lato svizzero italiano che oltre confine: frequenta infatti, a Forte dei Marmi, oltre al critico Roberto Longhi, anche figure di primo piano della pittura e della scultura italiana, da Carrà – che durante una partita a bocce gli grida: “Orelli, sei una schiappa” – a Rosai, da Maccari a Francesco Messina (si veda il già evocato Verso Carrà (2013), pp. 95-98). In questo, come in altri testi, Orelli introduce parallelismi e richiami spesso originali, talvolta sorprendenti, tra pittura e letteratura: “Raddensando il colore, il pittore sembra non far diverso da uno scrittore (poniamo) come Verga, il quale nei Malavoglia dà il proverbio paronomastico “Il mare è amaro e il marinaro muore in mare”” (p.97).
I legami di cui sopra e tanti altri avvengono nelle due direzioni: nel 1948, rispettivamente 1950, Orelli scrive a Contini chiedendogli di sostenere sia Genucchi (p. 116) che Guido Gonzato. Una volta consolidatasi la sua fortuna editoriale in Italia, lo stesso Orelli si fa paladino dei suoi amici artisti ticinesi (in questo senso “regionali/marginali”), permettendo loro di farsi conoscere e apprezzare a Milano, diventata capitale italiana dell’arte che stava abbracciando la via dell’astratto e dell’informale: Bolzani già nel 1957, Massimo Cavalli nel 1963, Mario Marioni nel 1966, Ubaldo Monico nel 1970. Di controcanto, è sempre Orelli a presentare, in varie mostre nella Galleria La Ruota di via Codeborgo 5, nella sua Bellinzona, tra gli altri, Alfredo Chighine, Ennio Morlotti e Franco Francese.
Ma allora qual è il valore di questi scritti e, soprattutto, quanto c’è in loro del poeta Orelli, del suo stile, della sua lingua, della sua cultura letteraria? E quanto interagiscono, in questa raccolta, la pittura ticinese che stava avvicinandosi all’astratto, la lettura che ne fa il poeta che agiva “fuori dalla propria giurisdizione” e il poeta stesso? Quasi sempre: “In aggiunta ai riferimenti alla storia dell’arte, come prevedibile sulla scrivania di un poeta, sono ricorrenti i parallelismi con la storia della letteratura, mediante i quali Orelli da un lato riporta cautelativamente il discorso nel suo campo d’elezione, suggerendo angolature interpretative inesplorate, e dall’altro propone una concezione permeabile delle arti, in continuo e reciproco dialogo” (ancora Morinini a p.11).
Un accenno conclusivo al titolo della raccolta, ripreso pari pari dall’articolo omonimo del 1963 su Libera Stampa dedicato alle xilografie di Ubaldo Monico. L’attenzione alla struttura richiama l’Orelli critico letterario. La luce è “Luce del bianco e luce del nero, e zone grigie, grigi vari, infiniti, che sembrano talora sul punto di diventar brace (non altrimenti diciamo che ci par di sentir crepitare il tramonto sopra il Ghiridone”. Le arti diventano significative (toccando a tratti la poesia) quando riescono a snidare anche ciò che sta dentro e al di là dell’oggetto, riuscendo a dargli nuova forma, nuove valenze, nuovi significati nascosti.
“Giorgio Orelli, Struttura luce poesia“, a cura di Ariele Morinini, Edizioni Casagrande in coedizione con Museo Villa dei Cedri, Bellinzona, 2023
Nell’immagine: Giorgio Orelli