Giustizia penale, poche idee ma ben confuse
Diciamolo ai delinquenti, che abbiamo speso tanto; magari eviteranno gentilmente di delinquere
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Diciamolo ai delinquenti, che abbiamo speso tanto; magari eviteranno gentilmente di delinquere
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Diciamolo ai delinquenti, che abbiamo speso tanto; magari eviteranno gentilmente di delinquere
Un grosso ossimoro su due gambe: che Norman Gobbi, conducator leghista a tempo quasi pieno (e a spese nostre), sia il capo del Dipartimento delle Istituzioni stupirebbe chiunque, salvo noi ticinesi che ormai siamo avvezzi a ogni cosa, e in particolare all’assurdo. Come ben si sa, il partito di Gobbi ha fatto le proprie fortune elettorali sullo sprezzo dei principi della legalità, della divisione dei poteri, del ruolo dello Stato centrale in ambito federalista; e di questo partito Gobbi è un colonnellissimo, anzi un aspirante generale, sempre in prima linea quando c’è da esternare, a dettare la linea del partito. E ha, per questi motivi, una per lo meno intermittente comprensione del ruolo del suo dipartimento e delle varie entità che lo compongono, una comprensione che sembra difettare soprattutto quando si giunge sul terreno della sicurezza pubblica e dell’amministrazione della giustizia penale. In quest’ambito, lui si vede piuttosto come il policeman in chief, uno di quelli che starebbero bene in un film dei Cohen, in qualche nevoso e sonnolento posto di polizia del Minnesota.
Ora che il Ministero pubblico è stato potenziato, ci racconta che negli ultimi venti anni i costi della Procura sono aumentati del 50%, come se questa fosse una giustificazione imparabile, come se avesse una minima rilevanza nella soluzione dei problemi enormi cui la magistratura penale è confrontata in termini di gestione dei reati. Bisognerebbe forse dirlo ai delinquenti, che noi abbiamo speso tanto; magari, comprensivi, eviterebbero di delinquere. Nel frattempo, la polizia è stata di molto potenziata; un ambito molto concreto, che al nostro piace molto, un turbinare di belle divise azzurrine, di bicipiti palestrati, di attentifiss e di armatissimi posti di blocco per vignette e alcoltest. Ma se la polizia arresta, la Procura deve indagare e i magistrati confermare l’arresto e processare: sono tappe di un percorso, che in nessuna fase deve avere colli di bottiglia, altrimenti il sistema collassa. Non è difficile da capire, vero? Eppure…
C’è poi il tema della gestione degli incarti. I praticanti del settore conoscono bene quanto variabile sia la competenza e soprattutto la dedizione al lavoro dei magistrati penali; l’esercizio classico, per l’avvocato penalista, è quello di tentare di sapere qual è il magistrato di picchetto prima di introdurre querele o denunce penali, per evitare che l’incarto finisca nelle mani sbagliate, e colà miseramente spiaggi. Gli esperti che hanno tematizzato la cosa sono stati delegittimati e sommersi di trasversali contumelie per il supremo oltraggio, e i loro consigli sono stati ignorati; i magistrati giudicati inetti sono stati confermati, e per dieci anni.
Da noi, sembra che gli esperti siano nominati solo per essere ignorati, anzi francamente sbertucciati; è successo anche a proposito dell’aeroporto, per dire. Ma questo fa parte del mood generale in questa bella plaga, in cui gli ignoranti ci spiegano (oltretutto, da scranni un tempo assai prestigiosi) che gli esperti e la loro competenza contano meno di zero. È però sempre un sollievo sapere che al di là delle Alpi c’è qualcuno che, prima del disastro, ci protegge da noi stessi.
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