Il calcio nel pallone
Fra verità e menzogne, è guerra aperta nel mondo del calcio
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Fra verità e menzogne, è guerra aperta nel mondo del calcio
• – Enrico Lombardi
• – Franco Cavani
Sembra fallita sul nascere l’ipotesi di un nuovo campionato ma la crisi finanziaria del settore resta
• – Marco Züblin
A raccomandarlo è la Task force scientifica, in un parere pubblicato ieri
• – Riccardo Fanciola
Qualche prima nota provvisoria dopo la débâcle elettorale
• – Marco Züblin
Dopo Nature, anche British Medical Journal e Lancet evidenziano che il coronavirus si trasmette per via aerea
• – Riccardo Fanciola
Una prima analisi a bocce non ancora del tutto ferme
• – Rocco Bianchi
L’idea di un super-campionato europeo solo per grandi club, ultima spiaggia della degenerazione pallonara
• – Aldo Sofia
Comunali: soddisfatti liberali e rossoverdi, delusione PPD, e Lega in chiaroscuro: l'analisi di Andrea Pilotti, dell'Osservatorio della vita politica regionale-Uni Losanna
• – Aldo Sofia
• – Franco Cavani
È un vero pandemonio, quello che si è scatenato ai vertici del calcio europeo (e mondiale) , tristemente in consonanza con i tempi di pandemia che tutti stiamo vivendo. La notizia della nascita della Super League, che sta ammorbando giornali e siti sportivi ma non solo, ha già avuto qui (“Ed ecco il calcio solo per super-ricchi”, 20.4.21) un primo commento a caldo ma dopo una notte infuocata, che ha portato al naufragio del progetto, impone qualche riflessione, seppur ancora “a caldo”.
Avrebbe dovuto prender vita un torneo europeo fondato sul principio di essere ristretto e riservato ad un massimo di 20 squadre, le più blasonate, quelle che in questi ultimi decenni già continuano a dominare la scena continentale della Champions League organizzata dall’UEFA.
Un progetto definito da più parti come un golpe, un colpo di stato nei confronti del sistema calcio così com’è gestito dall’UEFA; un progetto ideato e voluto dalla “casta” delle società calcistiche più ricche che si sono dette: basta con l’UEFA, basta con la Champions League, basta con la lotta sportiva per “entrare in zona Champions” nei campionati nazionali e basta, infine, con i troppo scarsi introiti che la manifestazione europea garantisce.
Finiti ormai da tempo dentro una logica borsistica che li costringe ad un gigantismo senza freni, con l’anno di pandemia a sigillare e suggellare un trend di indebitamento inarrestabile i maggiori club europei sembrano trovarsi sull’orlo della bancarotta, con (si dice) cifre rosse per circa 5 miliardi complessivi.
È finanziariamente legittimo, dunque, in questa logica che ha certamente più di un aspetto perverso, che le dirigenze dei dodici club fondatori della Super League rivendichino, con questo progetto, un maggior beneficio di introiti che sono loro a generare, ma che, allo stato attuale, è la UEFA a gestire ed amministrare (senza nulla rischiare) nutrendo un “apparato” del calcio europeo perlomeno ipertrofico che “in rosso” non va e non andrà mai.
Da domenica scorsa a stanotte, è stato tutto un susseguirsi di urla e strepiti un po’ da ogni fronte ed in ogni lingua: in Germania e Francia disapprovano e prendono le distanze squadre importanti come il Bayern o il PSG; in Inghilterra parte la crociata di federazione e lega calcistica per boicottare il progetto e le squadre che vi aderiscono. In Italia volano gli stracci fra presidenti e vertici delle società a suon di imprecazioni, insulti, minacce.
Ci sono poi, naturalmente, le durissime prese di posizione dell’UEFA e del suo presidente Aleksander Ceferin, che non risparmia niente e nessuno e minaccia a sua volta ritorsioni di portata biblica, affermando, come riferito da tutti i giornali, che “l’egoismo sta sostituendo la solidarietà. Il denaro è diventato più importante della lealtà e i dividendi più importanti della passione. Per alcuni, i tifosi sono diventati clienti e le competizioni sono diventate prodotti.”
Certo, ha ragione, ma fa un po’ specie che il massimo rappresentante dell’UEFA si metta a fare improvvisamente la mammoletta, il paladino dei valori puri e duri dello sport, quando in questi ultimi anni, decenni, è proprio l’UEFA, con i suoi meccanismi e le sue manovre più o meno sottobanco ad aver grandemente contribuito a far diventare il calcio quello che è. Insomma, quello di Ceferin è il pianto di chi si accorge di perdere il dorato giocattolo, che si è gonfiato a dismisura ed ha ormai preso il volo per una vita autosufficiente e senza regole, o meglio, con le regole che vogliono imporre le società che ci mettono soldi e rischi.
Ai margini, ma invece presentissimi sui social fra faziosità e disperazione, quelli che del calcio, finora, a parole, erano considerati parte imprescindibile e sostanziale:
i “tifosi”, quelli più estremi che del tifo hanno fatto una professione (di fede) anche oltre il lecito, così come quelli semplicemente innamorati del “più bello sport del mondo”. Ecco, milioni e milioni di appassionati, disposti a svenarsi per un abbonamento alle pay tv o un biglietto per una partita della propria squadra del cuore, oggi hanno fatto capire che anche se trattati come “consumatori di un prodotto” ( quali ormai effettivamente sono) ne sono in qualche modo anche artefici, in virtù di un attaccamento verso la squadra che da generazioni rappresenta per loro molto di più o molto altro che non solo un’azienda di intrattenimento.
E in un vero “coup de théâtre” come quello di ieri sera, sono scesi in piazza in Inghilterra, alleandosi con giocatori, allenatori, dirigenti nel dire forte e chiaro il loro “NO alla Super League”, con il risultato di produrre il più rapido esempio di “Brexit” della storia e con esso il fallimento del progetto della Super League, ormai abbandonato anche da altre società.
E forse anche qui, il pandemonio c’entra con la pandemia: le misure antipandemiche hanno imposto la chiusura degli stadi, hanno fatto dire e ripetere che senza il pubblico, senza il sostegno del “dodicesimo uomo”, le squadre non avrebbero più saputo esprimersi come prima, ma poi, con il passar del tempo, ci si è accorti che, in fondo, anche da casa in televisione, si poteva comunque restare fedeli sostenitori dei propri beniamini superpagati dai floridi contratti per i diritti di trasmissione degli incontri.
In questo periodo anche un colosso come “Amazon” è corso ad acquisire diritti per la diffusione di partite dei vari campionati europei, con contratti apparentemente strampalati (qualche partita qui, qualche partita lì) ma in verità ben chiari e ragionati: nessun interesse verso il calcio, ma grande interesse per i suoi fruitori, acquisiti (insieme ai dati personali) come potenziali clienti dell’e-commerce.
Arriverà il giorno in cui il pubblico tornerà allo stadio, certo, e sarà un giorno critico e delicato, perché oggi i tifosi hanno capito che alle loro squadre del cuore (quelle grandi, s’intende) di loro non importa più un fico secco. Il calcio del futuro prossimo venturo, gestito dall’UEFA o dalle società ricche, o da un accordo fra le parti, sembra piuttosto destinato ad assomigliare sempre più ad un evento di intrattenimento digitale, virtuale, una partita alla PlayStation giocata, in diretta mondiale, da Florentino Perez e Andrea Agnelli contro Aleksander Ceferin.
A meno che, proprio la pressione di giocatori, allenatori e spettatori non tolga loro di mano sia la console che le manopole: ma a questo punto, i protagonisti dello spettacolo, i grandi e meno grandi calciatori, da Ronaldo a Neymar a Mbappé, con i loro procuratori sanguisughe, sapranno accontentarsi di stipendi e contratti meno faraonici?
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