Il cappio di Putin
Nonostante le sanzioni e la preoccupazione da parte europea di non “mortificare” lo zar, la Russia continua a guadagnare dalle sue esportazioni più di quanto non guadagnasse prima del conflitto
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Nonostante le sanzioni e la preoccupazione da parte europea di non “mortificare” lo zar, la Russia continua a guadagnare dalle sue esportazioni più di quanto non guadagnasse prima del conflitto
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Nonostante le sanzioni e la preoccupazione da parte europea di non “mortificare” lo zar, la Russia continua a guadagnare dalle sue esportazioni più di quanto non guadagnasse prima del conflitto
In realtà, la teoria della volontaria e accanita mortificazione della “Madre Russia” esercitata dall’Occidente dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, è il comodo mantra a cui il neo-zar ha fatto spesso ricorso per giustificare la sua politica imperiale ed espansionistica. Disinvoltamente utilizzato a piene mani anche da chi, negli Stati Uniti e in Europa, e spesso nel fronte pacifista (spesso pro-putiniano a sua insaputa), ritiene che l’autocrate russo abbia avuto le sue ragioni rispondendo con un’aggressione alle provocazioni della Nato e della ‘decadente’ e ‘immorale’ democrazia dei nostri paesi: colpevoli oltretutto di esercitare un ‘obsoleto’ modello liberale a cui il Cremlino contrappone i benefici dell’euro-asiatismo, sul quale pretende di riedificare una parte del proprio imperio.
L’assurdo è che la tesi della “Russia umiliata” continui a circolare anche di fronte all’odierna incontrovertibile realtà degli aspetti e delle conseguenze economiche della tragedia ucraina.
Come si concilia infatti la presunta mortificazione dell’ex impero quando da questa parte del continente si è tutti col cappio al collo della ricchezza energetica russa? L’Europa si è legata mani e piedi all’importazione di gas e di petrolio russi, nonché di prodotti per e dell’agricoltura; certo anche per comodità e interesse, l’Occidente ha accettato una sorta di monopolio da parte di Mosca; ne subisce oggi le conseguenze, e l’affannosa ricerca di fonti e mercati alternativi; situazione che oltretutto ha favorito i ritardi della troppo lenta transizione energetica. Con la guerra il tutto è ancor più evidente, anche se per il Cremlino rischia di essere transitorio: nonostante un embargo per ora solo declamato, la Russia continua a incassare molto dalla vendita dei suoi idrocarburi: 800 milioni di franchi al giorno, con un aumento dell’8 per cento rispetto all’anno scorso.
Per un paio di decenni, un vantaggio reciproco. Semmai il problema è che Mosca ha utilizzato male le casse che ogni anno si riempivano di euro e dollari. La Russia di Putin – non diversificando abbastanza la propria economia – non sta meglio della Russia pre-Putin, salvo gli investimenti per il proprio esercito. In ‘Ucraina anno zero. Una guerra tra mondi’, lo storico dell’economia Giulio Sapelli la riassume così: “È diventata una nazione sottosviluppata che vive dell’esportazione di materie prime; per quanto riguarda le tecnologie dipende ormai completamente dall’estero; ed è indebolita da un’impressionante crisi demografica, che contribuisce ad aggravare il senso di accerchiamento e isolamento…”. Quindi, altro che Russia umiliata dall’Occidente. Mortificata, semmai, dalla propria leadership. E dai suoi istinti imperiali.
Pubblicato da laRegione
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