Svizzera-Unione Europea: sembra “mission impossible”
I duri segnali di Bruxelles, contraria a rinegoziare il progetto di accordo quadro
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I duri segnali di Bruxelles, contraria a rinegoziare il progetto di accordo quadro
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I duri segnali di Bruxelles, contraria a rinegoziare il progetto di accordo quadro
Strana situazione: del progetto dell’ “accordo quadro” tra Svizzera e Bruxelles si sa tutto, tranne la posizione del governo federale. C’è stato il siluramento (perché tale è stato) del segretario di Stato Roberto Balzaretti; in contemporanea c’è stata l’umiliazione politica inflitta al ministro degli esteri Ignazio Cassis, sconfessato dalla maggioranza dei colleghi e in pratica costretto ad allontanare il ticinese che aveva negoziato con Bruxelles; e c’è stata la nomina di Livia Leu, neo segretaria di Stato, che da settimane sta trattando con la Commissione UE, in un assoluto riserbo.
Missione, la sua, ‘quasi impossibile’. L’Europa ripete che sostanzialmente non v’è nulla da rivedere rispetto all’accordo tratteggiato con Balzaretti; ma a Berna sa che quella bozza di intesa non ha nessuna possibilità di sopravvivenza in patria. Certo, non passerebbe il voto popolare. Del progetto d’accordo così com’è, la maggioranza politica (Udc compatta, liberali in prevalenza, Centro ex demopopolare in buona parte, e socialisti sofferenti con una minoranza chiaramente contraria) ha praticamente già deciso l’inaccettabilità. Ciascuno, o insieme, per una serie di ragioni: insufficiente la protezione dei salari, irricevibile direttiva sulla cittadinanza europea, indigeribile il tema degli aiuti di Stato, pericoloso per la sovranità nazionale il fatto che in caso di contrasti insanabili nell’applicazione dell’accordo il giudizio finale e vincolante sarebbe della Corte di giustizia europea.
Ad oggi, difficile capire come uscirne, se non abbandonando l’idea di questo accordo istituzionale, e lasciando le cose così come stanno. Con incognite non piccole rispetto ai futuri vantaggi della via bilaterale appena confermata in votazione popolare, delle nostre esportazioni, di ricerca e formazione. Intanto l’Europa non manca di segnalare concretamente la propria irritazione. Due esempi: l’ex presidente della Banca nazionale, Philipp Hildebrand, che dopo aver superato brillantemente la fase iniziale della procedura, all’ultimo “step” decide di ritirarsi dalla corsa alla presidente dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo), perché mancherà il sostegno dei 27 paesi Ue; e il mancato invito di Bruxelles a Martyna Hirayama, segretario di Stato, costretta a un’umiliante e inutile anticamera, che avrebbe dovuto candidare la Svizzera al prossimo programma europeo per la ricerca (Horizon Europe), e si tratta di condivisione di conoscenze e di fondi economici importanti per università e centri di ricerca elvetici (ci fu una fase in cui i milioni dell’UE alla nostra ricerca furono addirittura superiori a quelli stanziati da Berna). Ricatti? O semplicemente segnali chiari e inquietanti sulla determinazione europea?
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